Recensione: The Day After Flower

Di Fabio Vellata - 23 Dicembre 2009 - 0:00
The Day After Flower
Band: Sinestesia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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85

Prodotti da Franz Di Cioccio della storica PFM, i triestini Sinestesia si riaffacciano sul mercato discografico internazionale con un nuovo album, secondo in carriera, che sorprenderà più di un ascoltatore ed appassionato di progressive, sia di preferenza orientato verso lidi raffinati, sia esso vicino a tonalità di matrice prettamente hard (rock) e metallica.

Ricercato, complesso, dall’approccio colmo d’innata eleganza, a tratti persino elitario, “The Day After Flower” è, infatti, un disco destinato a saziare le voglie dei cultori più esigenti dell’arte progressiva, spesso identificata con Dream Theater e Symphony X, ma qui maggiormente avvicinabile alla grande espressività artistica dei classici Rush, Queensryche, Yes e Genesis, cui va ad addizionarsi un’anima talora romantica che ha palesi riferimenti nello stile precipuo di Asia, Pendragon e Porcupine Tree.
Musica dall’elevato tasso tecnico insomma, dalle strutture alquanto articolate e bisognosa di attenti, approfonditi e reiterati ascolti onde poterne penetrare al meglio l’essenza, familiarizzando con la grande quantità di sfumature di cui risulta costituita.

Artisticamente maturi al punto da non avere nulla da invidiare a livello compositivo ai grandi maestri, i cinque triestini forniscono un impressionante caleidoscopio di “colorazioni” musicali, disseminate lungo una serie di brani il cui trait d’union comune è ascrivibile alla classe di un songwriting vario, mai statico, capace di mantenere allerta l’attenzione nonostante le numerose ed immancabili digressioni presenti all’interno di tracce dal minutaggio spesso consistente.
Massiccia ed impetuosa, l’opener “Hero”, come meglio non potrebbe, offre sin dall’esordio uno spaccato preciso della sontuosa ricerca melodica del gruppo, attraverso un costante gioco di partiture metalliche ai confini con il power in cui si riverberano echi dei già citati Dream Theater, nobilitate da frangenti in cui l’aria tende a divenire più rarefatta, condensandosi in attimi dai contorni estatici e trasognati.
Eccellenti poi, le divertite e spumeggianti aperture della briosa “Feast”, canzone di grande immediatezza che pone in evidenza il lato più stilisticamente “facile” dei Sinestesia, combo capace di elaborare complessi e strutturati slanci strumentali, al pari di ritornelli ad ampio respiro e facilissima fruibilità, gradevoli all’orecchio al punto da poter essere definiti quasi “radiofonici”.
Di notevole spicco e valore aggiunto, le versatili corde vocali dell’ottimo Ricky De Vito, singer che in più d’un frangente riesce ad accostarsi al grande Geoff Tate, seppur con qualche accento leggermente più “acuto”.

La magia prosegue quindi con la lunga “The Birth, The Death, Trance By The River”, passaggio che ancora una volta riporta in voga stilemi cari a Dream Theater, Queensryche e Thershold, miscelati con fantasiose aperture di puro stampo progressivo, che nei contorni ovattati ed onirici – ricchi d’atmosfere intimiste – un po’ richiamano alla memoria gli Enchant di “A Blueprint of The World” ed i già citati Porcupine Tree.
Momenti carichi di enfasi ai limiti dell’epico nella veemente “Burning Times”, sfoggiano risvolti operistici amalgamati con le solite chitarre tuonanti orchestrate con perizia dal bravo Roberto De Micheli, protagonista, in versione acustica, anche nella seguente “Violet”, stupenda traccia di estrema leggiadria pur se d’inusitata complessità (addirittura suddivisa in due movimenti), che si esalta in una linea melodica cristallina ed elegante, modellata sulle vocals di DeVito e le tastiere di Alberto Bravin, oltre che sui numerosi inserti strumentali forgiati con eccellente buon gusto.

C’è spazio anche per un po’ di power prog vecchio stile in “Cold War Apocalypse”, episodio che, nuovamente, ci mostra la grande poliedricità del gruppo giuliano, pronto a sciorinare un repertorio da “bignami” dell’heavy progressivo, incluse ritmiche spezzate, voce drammatica, chitarre nervose ed interventi tastieristici che come da programma sconvolgono il canovaccio, sterzando su lidi ora “spaziali”, ora psichedelici, ora settantiani, tali da lasciare realmente ammirati per completezza e varietà di temi condensati in modo del tutto logico e coerente.
La parte conclusiva di “The Day After Flower”, è a carico dell’evocativa “Twilight”– brano profondo come la notte siderale, dai riflessi oscuri, quasi dark, marchiato a fuoco dall’epico ritornello e da un’effettistica che conferisce un taglio quasi “cinematografico” – seguita da “Memento”, pezzo in lingua madre che, in virtù delle ampie orchestrazioni e del coro accattivante, un po’ si ricollega alle zone più nobili del pop italico (nessuno si offenda se lo definiamo “sanremese”), scritto e suonato con la consueta, straordinaria perizia.

Chiude un album intenso e sorprendente, la versione strumentale della frizzante “Feast”, anche in questo caso, somma goduria per i padiglioni auricolari.

Chi avrà letto sin qui dunque, non necessiterà oltre d’ulteriori e tediose divagazioni sulla bontà di quanto messo in campo dai bravissimi Sinestesia.
“The Day After Flower” è un disco multiforme, completo, vario, ricco, emozionante, vivace, prodotto da Dio e ricolmo di mille sfumature che, gli appassionati del genere ameranno alla follia.

Straconsigliato insomma. Che dire di più!

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Tracklist:

01.    Hero
02.    Feast
03.    The Birth, The Death, Trance By The River
04.    Burning Times
05.    Violet
06.    Cold War Apocalypse
07.    Twilight
08.    Memento
09.    Feast (Instrumental)

Line Up:

Ricky De Vito – Voce
Alberto Bravin – Tastiere / Mellotron
Roberto De Micheli – Chitarre
Alessandro Sala – Basso
Paolo Marchesich – Batteria / Percussioni

 

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