Recensione: The Day of Retribution
I Nemesis sono, al giorno d’oggi almeno, un gruppo che puo’ vantare origini assai lontane; questo non nel tempo, ma nei confronti dei risvolti della storia dell’Heavy Metal. Proprio nell’innevata Svezia, più di venti anni fa, c’erano già (giovanissime) bands che, in un modo o nell’altro, avrebbero in seguito scritto i loro nomi sulle lapidi del Doom Metal. Mi vengono in mente i Mercy (al tempo ancorati al loro hard’n’heavy mediocre) ed i mitici Count Raven, ad esempio.
Nel caso dei Nemesis invece, almeno per quanto mi riguarda, li vedo come una band quasi sospesa nel tempo: indipendenti durante la loro esistenza, ma divenuti, dopo lo scioglimento, ingranaggio primordiale per la nascita di qualcosa di magico e imperituro (due reunions, insomma, fate voi…).
Ebbene sì, tagliando corto, prima della formazione dei leggendari Candlemass c’era già un inizio dei Candlemass: i Nemesis appunto. Nella Stoccolma dei primi anni 80, insieme con Anders Wallin (lead guitar), Christian Weberyd (guitar) ed Anders Waltersson (drums), mr. Leif Endling registrò questo “Day of the Retribution”, un semplice ep – forte di 5 brani di ottimo Doom Metal tradizionale -, che ci riserva anche qualche gradevole sorpresa.
Parto subito con la più bella: mr. Endling in questa occasione si cimenta addirittura nel ruolo di cantante, oltre che in quello di bassista. Non che si tratti un evento unico (ci sono altre testimonianze, proprio coi Candlemass, della sua abilità canora), ma rimane sempre un qualcosa di speciale, soprattutto perché stiamo parlando del primo esempio nella storia.
Secondariamente, come è facile pensare, il sound dei Nemesis “ricorda” massicciamente lo stile iniziale di una delle più grandi Doom Metal bands in assoluto. Addirittura la spietata opener track, “Black Messiah”, cambierà i connotati sei anni più tardi per diventare “Incarnation of Evil” in “Ancient Dreams… culto!!
Non si diventa un genio delle quattro corde del Destino da un giorno all’altro: Leif ci nasce -artisticamente- e ci sono cinque piccoli grandi gemme che ce lo dimostrano. Semplicissimo Doom Metal, oscuro, blasfemo, solenne e maledettamente travolgente è il nome del sortilegio che le abili mani di Endling intessono battuta dopo battuta, strofa dopo strofa, attraverso le macabre e disperate atmosfere in cui serpenteggiano la stigiana “Theme for the Guardians”, l’atroce “Black Messiah” o l’epicissima “The King is Dead”.
Dal più Nero Sabbath, i Nemesis fanno emergere poco più di venti minuti di heavy metal granitico, plumbeo e straziante; il basso di Endling traina -in pratica- l’avanzata dei tre W (Wallin, Weberyd, Waltersson: che coincidenza!) e scandisce con efficacia i vari passi del rituale sonoro, impreziosendoli con buone vocal lines dove la rabbia o il pathos si sovrappongono ogni volta con effetti diversi (forse l’esempio più convincente lo troviamo in “In God we Trust”).
Merita un breve accenno tutto suo la conclusiva “Good Night”. Relegata più che giustamente in posizione di coda, visto il suo discreto tono singolare, questa song si ricorda bene per la sua personalità leggermente più eterea e sognante: le delicate melodie giocano con l’onnipresente pesantezza incantatrice dei riff, sui quali si trascina un audace insieme di performaces vocali del signor Endling, che qui cerca -con risultati tutto sommato coinvolgenti- di interpretare il testo osando anche prendere toni più alti del normale.
Per quanto riguarda la prestazione vocali, si lascia ricordare anche un certo andamento di forte inquietudine che la voce vuole conferire a passaggi ben precisi di “Black Messiah”, la stessa “Good Night” o la semi-terremotante “In God We Trust”. Gli assoli non rappresentano nulla di fantascientifico, il che non solo rispetta i canoni di bellezza di questa speciale formula di concepire il Doom, ma ben si adatta anche alla genuina purezza di quest’opera “artisticamente in erba”.
Tirando le somme, dunque, ci ritroviamo qui davanti la prima testimonianza discografica della straordinaria carriera di un grande artista, che ne attesta la sua innata capacità, la sua versatilità, la sua completezza e la sua dedizione. Dei Nemesis poi non è rimasto nulla. Notizie che non ho avuto ancora modo di confermare attesterebbero che la band fece uscire qualcos’altro (a livello di demo almeno), ma purtroppo nessuno si è mai preso gli oneri ed onori di mettere tutto alle stampe ufficialmente (il tape-trading è un’altro discorso).
Nel 1990 la Active Records/Metal Blade [b]ristamparono in cd[/b] questo ep divenuto col tempo parecchio raro, aggiungendo pure due bonus track veramente interessanti: versioni demo di “Blackstone Wielder” e “Demons Gate”, prelevati dagli archivi dei Candlemass. In tempi abbastanza recenti sono uscite fuori pure delle compilations (semiufficiali..) di materiale raro dei CM. La copertina della ristampa della Metal Blade raffigura il loro della band in rosso in campo totalmente nero: su internet ho trovato la cover rappresentata in alto (..da dove le hanno prese quelle altre scritte??). Cliccando qui potete vedere la cover originale (scusate, ma l’unica foto che trovato sul web).
Concludo con l’augurare di cuore un buon ascolto a coloro i quali sono attualmente tentati ad andare a rintracciare ed ascoltare il suddetto ep, invogliati magari dai ricordi che questa recensione forse ha risvegliato; parallelamente però, lancio un “in bocca al lupo!” a coloro i quali si sono sentiti anche un po’ invogliati di ricercare un’altra, l’ennesima, piccola reliquia del True Heavy Metal Kult.
DOOM ON!
Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli
1) Black Messiah
2) In God We Trust
3) Theme of the Guardians
4) The King is Dead
5) Goodnight