Recensione: The Days Of Grays

Di Roberto Gallerani - 18 Settembre 2009 - 0:00
The Days Of Grays
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Anno: 2009
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86

Domanda: esiste un album più atteso dell’ultimo Sonata Arctica in questo 2009 in ambito power metal?! Insieme al ritorno degli Stratovarius, la Finlandia ci riconsegna gli altri suoi paladini del power metal, una band che nel corso della sua storia è riuscita a scrivere brani che ormai sono diventati dei classici irrinunciabili ed essenziali per qualsiasi ascoltatore di power metal.

La prova alla quale sono chiamati Kakko e compagni questa volta però è forse la più dura da superare, quella della verità definitiva, la risposta alla domanda che ci frulla nella testa dall’ultimo controverso Unia: dove sono i Sonata Arctica, qual è la loro dimensione musicale oggi giorno e soprattutto, avranno preso una chiara e decisa direzione musicale dopo la sterzata precedente?
Sulle spalle di The Days Of Grays gravano tutte queste responsabilità e la speranza di tutti i loro fan, sia di quelli che vogliono i Sonata Arctica di Silence, sia quelli che erano rimasti piacevolmente sorpresi del sound di Unia e che forse vorrebbero vedere i loro paladini continuare sulla strada della sperimentazione.

Non vorrei sbilanciarmi più di tanto nell’affermare che questo potrebbe essere quel (raro) caso in cui entrambe le fazioni sono state soddisfatte! Questa è la sensazione che mi ha lasciato The Days Of Grays, un album ambizioso, maturo, per certi versi completo.
Per i nostalgici ci sono dei brani in pieno stile Sonata Arcita “vecchi tempi”, vi sono dei mid tempos accostati ad altri brani ricercati e complessi, con la differenza rispetto ad Unia, che in questo caso funzionano, sono amalgamati ed omogenei nel loro essere non lineari; si possono inoltre assaporare alcune sperimentazioni ed inserimenti orchestrali molto possenti, una novità per il gruppo finlandese.
Difficile trovare qualche piccola caduta in questo album; la prima parte inoltre è senza dubbio tra le cose più pregevoli che abbia avuto modo di sentire quest’anno: un power metal raffinato e ricercato, che non rinnega le sue radici ma che allo stesso tempo sa guardare lontano.

La strumentale Everything Fades To Gray fa da apripista ad un brano di grande valore, forse già uno dei migliori capitolo dell’intero lavoro, ovvero la sontuosa Deathaura. Dopo un’apertura con un dolce pianoforte accompagnato da una female vocals, la band si scatena in un turbinio di suoni e velocità, il tutto condito dalla presenza di orchestrazioni potenti. La strofa aggressiva si contrappone alla melodia azzeccata del chorus. Subito la band si diverte con cambi di ritmo e di atmosfere, bellissimo anche l’assolo di chitarra nella seconda parte del brano. Oltre sette minuti di emozioni che mettono subito in chiaro la dimensione sonora e l’ampiezza del songwriting che i Sonata Arctica hanno raggiunto. Altra top song è la seguente The Last Amazing Grays, un pezzo che lo si può dividere in quattro parti. La prima, orchestrale e di apertura, la parte centrale dove i nostri ci propongono un brano dalla melodia dolce e sognante nonostante le ritmiche sostenute, la terza parte nella quale la band si diverte a fare i Nightwish, uno strumentale di rara potenza, e infine l’ultima nella quale ci si ritrova nella melodia della seconda parte.
Potete dire che ricorda tanto un altro loro celebre brano (solo in una piccola parte del chorus a dire il vero) ma per quanto mi riguarda non vedevo l’ora di ascoltare un brano 100% power Sonata Arctica come Flag In The Ground.
Dopo il lento Breathing, la band sfodera il brano più pretenzioso dell’album, un mix di heavy metal e nu metal attorniato da un atmosfera oscura. Come non sottolineare la carica che da un brano come The Dead Skin, brano di puro heavy metal nella prima parte, che si lancia ai limiti del black nel break centrale.
Juliet è un altro di quei capitoli in cui i nostri si divertono a cambiare spesso di umore all’interno dello stesso brano. Inserti di orchestrazioni rendono il tutto più oscuro, la band si alza di livello diventando potente come mai in questi caso; ottima poi la melodia del chorus, trascinante e sognante come nella miglior tradizione di questa grande band.
Stesso discorso lo si può fare per No Dream Can Heal A Broken Heart, altra perla di quest’album sempre più sorprendente.
As If The World Wasn’t Ending è un altro lento bello anche se un po’ scontato, al quale segue The Truth Is Out There.
L’album si conclude poi con la full version di Everything Fades To Gray, forse l’unico riempitivo di questo avvincente The Days Of Grays.

Vi avviso che mi ci sono voluti parecchi ascolti per dare una valutazione (la più oggettiva possibile) a questo album. Di sicuro non è un ascolto facile, a causa dei continui cambiamenti di umore che si ritrovano all’interno delle stesse canzoni. A differenza di ciò che è accaduto con l’album precedente però, i nostri riescono nell’intento di non fossilizzarsi su un power metal trito e ritrito senza per questo comporre brani slegati tra di loro; al contrario la varietà di questo lavoro va a pari passo con una grande omogeneità di fondo. Le canzoni contenute al suo interno poi sono di altissimo valore, altro motivo per cui non ho dubbi sul grande valore che The Days Of Grays posside.
Fatelo vostro, punto.

Roberto “Van Helsing” Gallerani


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Tracklist:


1. Everything Fades To Gray (instrumental)
2. Deathaura
3. The Last Amazing Grays * MySpace *
4. Flag In The Ground * MySpace *
5. Breathing
6. Zeroes
7. The Dead Skin
8. Juliet
9. No Dream Can Heal A Broken Heart
10. As If The World Wasn’t Ending
11. The Truth Is Out There
12. Everything Fades To Gray (full version)
 

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