Recensione: The Dead City Blueprint

Di Tiziano Marasco - 26 Giugno 2014 - 16:27
The Dead City Blueprint
Band: Thine
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2014
Nazione:
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79

A Dewsbury ci capitai per caso circa un mese fa, in seguito a vicende lavorative che in questa sede è preferibile sottacere. Avessi scoperto i Thine prima del mio soggiorno nello Yorkshire e non dopo, però, avrei guardato Dewsbury, la cittadina natale del gruppo britannico oggi in esame, con altri occhi. Avrei approfondito di più la conoscenza.

I Thine, ad ogni modo sono una bestia strana. Attivi sin dal 1993, nati da quello stesso movimento che diede vita ad Anathema, Paradise Lost e My dying Bride, i nostri in 20 anni di carriera hanno dato alle stampe tre soli album, l’ultimo dei quali, prima di questo The Dead City Blueprint, datato 2002. E scusate. Dato il lasso di tempo intercorso tra questi due dischi immaginerete che l’evoluzione possa essere profonda.

Pure va notato che i Thine sono sotto contratto con la Peacville records, da sempre sinonimo di metallo sghembo, contaminato ed atipico, ma pur sempre di elevatissima caratura, come l’esempio di Opeth e Katatonia lascia da tempo intuire. Ed infatti il quintetto, nelle sue coordinate sonore, si avvicina ancora parecchio ai nomi sin qui citati. Si definiscono prog ma di prog hanno poco, al di là di una certa consistenza nel minutaggio. Propongono invece un genere assai alternativo, caratterizzato da ritmiche dimesse e per nulla violente, che potrebbe essere una fusione tra certi Anathema (quelli di A fine Day to Exit), certi Katatonia (quelli di Viva Emptiness and Last Fair Deal gone Down) e i Paathos, per chi li ricorda.

Una musica di chitarre sobrie e decisamente poco invadenti, abbinata a melodie piuttosto dimesse ma pur sempre molto, molto efficaci. Indiscutibile la classe di Paul Groundwell alla sei corde, siccome la piacevole interpretazione Alan Gaunt alle corde vocali. Ne esce una proposta davvero gustosa che trova momenti magici soprattutto nella prima metà del platter. Ne fuoriescono alcune song davvero magiche quali Brave Young Assassin o Flame of The Oak, vertice assoluto però è la incalzante The Precipiece, tributaria, molto da vicino, degli Anathema citati in precedenza.

Si registra invece un leggero calo nella seconda metà, dovuto soprattutto al minutaggio di cui sopra. Non gioca a favore dei nostri pure il fatto di aver scelto una proposta priva di sussulti. Non vi è nella seconda parte, un pezzo che traini come The Precipice, pure si tratta di errori veniali, e la classe del quintetto fa si che i pochi e sparuti sprazzi di noia vengano sommersi da ettolitri di buona musica.

Se i Thine avessero una media realizzativa migliore con ogni probabilità sarebbero famosi quanto i Katatonia, o comunque, molto più dei Paathos. Questo l’unico difetto rinfacciabile a bretoni. Per il resto, una proposta di alto livello e carica di interesse, sebbene non si tratti di metal tout court.

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