Recensione: The dead Light
I Fen sono senza dubbio tra i gruppi più rappresentativi per quanto concerne il black atmosferico proveniente dalle isole britanniche. Per loro parlano una discografia ricca – “The dead Light”, uscito due settimane fa, è la sesta prova di studio in dieci anni – ed un piccolo capolavoro, “Epoch”. Va detto che “Epoch”, oltre che un piccolo capolavoro, è anche un po’ la croce e la delizia del trio, dato che da allora la band, pur rimanendo su standard qualitativi indiscutibilmente buoni, non è mai riuscita a ripetersi su livelli così alti. “Winter”, uscito due anni orsono, aveva suscitato buone impressioni ma, almeno per quanto riguarda chi scrive, col passare del tempo, è caduto inaspettatamente (ma pure inesorabilmente) nel dimenticatoio.
“Winter” però metteva anche in mostra elementi di innovazione. Sicché la speranza che ha accompagnato le settimane precedenti l’uscita di “The dead Light” era che i Fen avrebbero potuto finalmente arrivare ad un punto di svolta o, meglio, di definitiva ripresa e soluzione di alcuni dei problemi di lungo corso della band.
Uno di questi problemi (sempre a parere di chi scrive), tracklist alla mano, è risolto: album più breve (non arriva ai sessanta minuti) e più canzoni del solito. Certo, si rimane sempre di fronte a tracce che dondolano tra i sei e i dieci minuti di durata, ma i dati lasciano pensare a composizioni meno prolisse e magari più variegate.
L’ascolto, fortunatamente, conferma queste sensazioni, così come il fatto che gli inglesi, proseguendo sul solco di quanto fatto nel precedente disco, prendono una piccola dose di farina dal sacco degli Enslaved. Lo si nota piuttosto bene, ad esempio, nel sostenuto giro di chitarre che apre (ed anima) la title track (Part 1), un giro che richiama alla mente “Below the lights”. Lo si nota anche nel delicato giro di chitarre che guida la conclusione di “Exhanguination” o quelli che qua e là compaiono nella conclusiva “Rendered in Onyx”.
Ma non è che le similitudini si concludano qui; anzi, si fanno più marcati anche i cori psichedelici che caratterizzano gli ultimi due album degli Enslaved. I Fen sono bravi, in questo, a metterci del loro e a trovare delle ottime linee melodiche, come testimoniano “Nabula” e ed i pezzi citati in precedenza. Va detto però che questo avvicinamento al gruppo norvegese non rende i Fen una mera band epigona, tutt’altro. Le linee distintive degli inglesi ci sono tutte, basta sentire la opner per rendersene conto.
Ci troviamo di fronte, sempre e comunque, ad un gruppo con tutti i marcati crismi del black atmosferico e ben lungi dall’aderire al black progressivo. Gli elementi di matrice black però aiutano a rendere il sound meno piatto e più variegato, come si era detto. Ad ora “The dead Light” sembra essere un disco davvero buono e personale, esattamente come lo sembrava “Winter” due anni or sono. Anzi, in sé “The dead Light” sembra pure un passo avanti rispetto al suo predecessore. Ora bisognerà vedere come resisterà allo scorrere del tempo. L’idea di fondo è che manchi ancora qualcosa, un guizzo di vera, pura, folle genialità e la speranza è ovviamente che i Fen lo trovino presto.