Recensione: The Deafening Silence
Avevamo conosciuto gli A Perfect Day nel 2012, all’uscita dell’omonimo album di debutto, un lavoro che aveva convinto su tutta la linea: il supergruppo formato da tre nomi importanti della scena hard’n’heavy italiana (Roberto Tiranti, Andrea Cantarelli e Alessandro Bissa) aveva dato vita ad un progetto solido e maturo. La notizia dello split con Tiranti aveva colpito solo fino ad un certo punto: spiace dirlo, ma ultimamente le formazioni delle band italiane stanno diventanto sempre più fragili, tanto che lo stesso cantante genovese ha ormai abbandonato i Labyrinth, così come Alessandro Bissa è fuoriuscito dai Vision Divine, solo per fare due esempi calzanti al 100%. Assorbito il colpo, i due membri restanti non sono rimasti con le mani in mano e hanno assoldato Gigi Andreone dagli Odd Dimension al basso e il polistrumentista Marco Baruffetti alla voce. Un grosso cambiamento, senza dubbio; eppure, diciamolo senza tanti preamboli, il rivoluzionamento della line-up non ha minimamente intaccato la validità della proposta. Al contrario, sono proprio i nuovi arrivati che, perfettamente inseriti ed amalgamati, sembra abbiano rinvigorito un gruppo già promettente. In particolar modo, sulla nuova fatica The Deafening Silence (che vede l’accasamento presso Scarlet Records) impressiona il nuovo vocalist, forse poco conosciuto all’interno della scena, tuttavia estremamente dotato, in qualche modo più lineare rispetto a Tiranti, ma anche più istintivo nell’approccio. A conti fatti, sembrerebbe che, dopo l’avvicendamento, gli A Perfect Day siano ora più coesi rispetto al disco di debutto, dove le qualità dei singoli in certi frangenti sembravano quasi prevalere sulla bontà del risultato complessivo.
La proposta non è cambiata: prendete l’hard rock moderno di act quali Alter Bridge, Creed, Stone Sour o Puddle Of Mudd, togliete la componente tipicamente a stelle e strisce ma mantenete quella compassata e introspettiva, aggiungete il gusto tutto italiano per la melodia e come risultato otterrete la formula vincente A Perfect Day. Bravi proprio nel costruire un’offerta “completa” – essenziale senza essere scialba o banale – Cantarelli (autore principale del gruppo) e i suoi sanno graffiare quando serve, ma anche fermarsi su passaggi più intimisti tutti da gustare. In tal senso, vuoi anche per il timbro di Marco Baruffetti non troppo distante da quello di Ray Alder, si percepiscono certe atmosfere care ai migliori Fates Warning nei passaggi più soffusi di My Lonely Island, nella stessa title-track o in The Age Of Innocence, quest’ultima tra l’altro impreziosita da uno splendido assolo. Più nervosa e pesante In The Name Of God, scelta anche come video, che vede un bell’alternarsi tra la voce protagonista e un lavoro di chitarre decisamente gagliardo sia in fase di riffing che – ancora – di solista. Non mancano, tra l’altro, passaggi abbastanza “sintetici” e moderni, che contribuiscono a rendere l’album quanto mai attuale. Molto valido anche il lavoro in fase di arrangiamento: non c’è mai ridondanza di fill di batteria nel drumming di Bissa, che si riconosce per essere come sempre sobrio ed efficace, tecnico ma mai fine a se stesso. Ma è appunto costante l’apporto in termini qualitativi dei singoli musicisti, sempre al servizio dei pezzi e la cui perizia è prima di tutto in funzione della canzone. Di voce, chitarra e batteria si è già parlato: spazio anche per il basso nella pulsante e cadenzata Mission: Annihilation, uno dei pezzi più pesanti dell’album, che vede il valido affiancamento di Andreone al lavoro della sei corde, per una chiusura di pezzo in chiave decisamente heavy. Chiudono The Fooling Glass, molto vicina agli Alter Bridge più melodici e Turning Back To You, che parte in modalità easy-listening per aprirsi più vigorosamente, grazie alla progressione della base ritmica e di un nuovo sfoggio di classe di Cantarelli.
Gli A Perfect Day sono nati come valido side-project; The Deafening Silence è il lavoro che li trasforma in band già colladauta e pronta a ritagliarsi il proprio posto al sole nella scena hard italiana. E’ vero, di spazio non ce n’è molto, ma poco importa, perché in questo caso abbiamo a che fare con un gruppo che, orgogliosamente, può dirsi pronto ad accettare qualsiasi sfida, forte della principale caratteristica che chi ama il rock non si stancherà mai di ricercare: il talento.
Vittorio Cafiero