Recensione: The Decline of the Enlightened Gods

Di Daniele D'Adamo - 17 Febbraio 2023 - 0:00

Attivi dall’ormai lontano 2006, i Frozen Dawn giungono alla pubblicazione del loro nuovo nonché quarto full-length in carriera, “The Decline of the Enlightened Gods”, distante sei anni dal precedente “Unearthing the Black Arts”.

Un lasso di tempo non indifferente, durante il quale la formazione spagnola ha potuto ulteriormente affinare il proprio black metal. Soprattutto per ciò che riguarda la capacità di esecuzione, arrivata a livelli di professionalità assoluta. Il disco sa di adulto, maturo, pulito, con un sound che nulla ha a che invidiare a chicchessia. Ottimo in quanto a leggibilità, poiché risulta semplice discernere i vari strumenti musicali ma, soprattutto, comprenderne i singoli movimenti. Esattamente come accade per le migliori realtà scandinave.

Qualità perfette affinché si possa incidere nell’ascoltatore con un black metal melodico di stampo classico. Intendendo con quest’ultimo aggettivo la mancanza di spunti innovativi e di originalità complessiva. Chiaramente non si tratta di un difetto, poiché trattasi di scelta a tavolino volta a ripercorrere con mezzi propri i sentieri battuti da leggende quali Necrophobic e Naglfar, per dirne due. I Frozen Dawn intendono giocare sul sicuro e, per questo tipo di approccio alla questione, ci riescono assai bene.

E, a tal proposito, non si può non notare sin da subito il connubio fra potenza e armonia. I Nostri picchiano duro, fanno male, quando vogliono, non esimendosi da sfracellare l’etere con micidiali bordate al calor bianco generate dai blast-beats (‘Wanderer of Times’). Che, invero, a dispetto della norma, sono utilizzati con parsimonia, giusto per non annoiare con un sempiterno pattern. Invece, Arjan van der Wijst regala un drumming possente, veloce, vario, estremamente preciso e lineare anche nei più complessi cambi di tempo: la massiccia e articolata struttura che regge il tutto, insomma.

Non da meno la chitarra di Dani Grinder, furibondo manovratore d’ascia che macina tonnellate di riff massicci, il cui suono secco e compresso è una delizia per chi non ama i… zanzarii. Oltre a un’immensa base ritmica, Grinder mostra anche una rilevante abilità solista, abbellendo continuamente con deliziosi orpelli e fulminanti assoli (‘Cosmic Black Chaos’) il tremendo muro di suono eretto dalla band nel suo insieme – compreso il continuo rombare del basso di Antonio Mansilla. Lo stesso Grinder, peraltro, si mostra anche un buon cantante, senza che ci siano estremizzazioni. Uno screaming tale da lasciar comprendere i testi, in parole povere, era quello che ci voleva, per una manifattura di questo tipo.

La maturità tecnico/artistica raggiunta dal combo di Madrid si percepisce, oltre al resto, dal songwriting. Le canzoni si susseguono rapide, senza soluzioni di continuità e/o cali di tensione. Non sono presenti filler tanto per giungere a un minutaggio decente (l’LP dura a sufficienza senza contare la cover di ‘Blinded by Light, Enlightened by Darkness’ dei già citati Necrophobic), per cui è tutto grasso che cola. Lo stile, come più su accennato, non è il massimo dell’originalità ma è indicativo del marchio di fabbrica che aderisce al terzetto iberico. Uno stile che collega con decisione i vari dettami che identificano il melodic black metal, e che rende l’opera dotata di una personalità piuttosto marcata.

Benché ci sia pure l’hit (sic!), e cioè ‘Frozen Kings’, l’insieme dei brani fatica invero a decollare. Approfondendo gli ascolti non emergono manchevolezze evidenti: le tracce sono difatti ben costruite, con che sintomo di un gran lavoro in sede compositiva. Tuttavia, faticano a decollare, come se mancasse loro qualcosa di indefinibile. Forse una maggiore orecchiabilità, forse dei chorus più incisivi. Forse altro. Fatto è che, alla fin fine, risultano un po’ scolastiche, come se Grinder e i suoi avessero tirato il freno a mano per paura di sbagliare qualcosa.

In ogni caso “The Decline of the Enlightened Gods” si lascia ascoltare con piacere, anche se sono rarissimi i colpi al cuore. A parere di chi scrivere i Frozen Dawn possono dare di più, se solo si lasciassero andare…

Daniele “dani66” D’Adamo

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