Recensione: The Demon King
Allo scoccare del quattordicesimo anno di attività, gli indiani Demonic Resurrection si confermano solida realtà di una Nazione che, per tradizione, non si può certo accumunare a quelle europee o nordamericane.
Malgrado ciò, il mastermind Sahil “The Demonstealer” Makhija ha sempre dimostrato di saperci fare, con il death metal. Sin da “Demonstealer” (2000), passando per uno split (“Rise Of The Eastern Blood”, 2006) ma soprattutto per la trilogia delle tenebre (“A Darkness Descends”, 2005; “Beyond The Darkness”, EP, 2007; “The Return To Darkness”, 2010). Ora, a distanza di quattro anni dall’ultimo full-length, è ora di cambiare tema e quindi tocca al neonato “The Demon King” spargere per il Mondo il verbo della formazione asiatica.
Due importanti cambi in line-up, e cioè Nishith Hedge al posto di Daniel Rego alla chitarra solista e Ashwin Shriyan in luogo di Husain Bandukwala al basso, sembrano aver sortito gli effetti previsti poiché, andando subito al sodo, “The Demon King” si configura come uno dei migliori lavori del 2014 nel campo del melodic death metal. Nulla a che vedere con lo swedish o con reminescenze scandinave varie, questo è bene rimarcarlo, quanto una proposta se non originalissima sicuramente abbondante di personalità; tale da rendere riconoscibile con facilità e piacere il sound del quintetto di Mumbai.
Con gli album precedenti i Demonic Resurrection hanno sempre mostrato una certa indecisione sulla strada da intraprendere, quasi intrappolati nel vortice sonoro che genera il death metal. Incapaci di decidere se restare ancorati ai dettami classici del genere, se sperimentare, se indurire il sound sino a lambire il brutal. “The Demon King”, invece, rappresenta il momento della svolta definitiva, poiché mostra una band assai aggressiva che, senza più tentennamenti e/o ripensamenti di sorta, decide di puntare molto sulla melodia e, in particolare, sulla qualità compositiva. Ponendo, per questo, massima attenzione al ruolo delle canzoni.
Canzoni che, in “The Demon King”, assumono un’importanza fondamentale. Il talento artistico di Makhija e compagni è lampante, poiché bastano davvero pochi ascolti per essere attratti a picco dentro le song, restando prigionieri di un turbinio di colori assolutamente accattivante. Maestosi tappeti di tastiera, improvvise, violentissime accelerazioni, rabbrividenti rallentamenti, linee vocali travolgenti grazie al growling virulento di Makhija, peraltro pure capace di esprimersi in eccellenti passaggi in clean. Impossibile, del resto, inerpicarsi su per il muraglione di suono costruito dai caleidoscopici riff della coppia d’asce, granitico nella sostanza ma raffinato nella forma; sgrezzato – anche – dall’opera di una sezione ritmica sciolta e dinamica, mai confusionaria, nemmeno quando sono i blast-beats a farla da padrone.
Prova di tutto quanto sopra sono proprio i brani, tutti e dieci meritevoli di menzione in toto, e pure per qualche singola peculiarità (es.: guitar-solo di “The Demon King”). Un livello qualitativo piuttosto raro da trovare in giro, che nobilita il platter, privo nel modo più assoluto di buchi, riempitivi, cali di tensione, ecc. Una consistenza e continuità d’intenti che sposta i Demonic Resurrection lontani anni-luce da quegli anfratti cavernosi ubicati nell’underground cui porterebbe il pregiudizio per un ensemble di death metal proveniente dall’India.
Al contrario, si può affermare con sicurezza che i Demonic Resurrection siano una ‘grande band’. L’opener “The Assassination” e l’hit (sic!) “Facing The Faceless”, giusto per citarne due, son lì a dimostrarlo. Potenza, ferocia, melodia, classe, inventiva, tecnica e il famigerato ‘quel qualcosa in più’ ci sono tutti.
Provare per credere.
Daniele “dani66” D’Adamo
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