Recensione: The Detached

Di Riccardo Angelini - 10 Settembre 2009 - 0:00
The Detached
Band: Anubis Gate
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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65

Il nome degli Anubis Gate non è fra i più chiacchierati in ambito progressive, forse a ragione. L’ambizioso quintetto danese non è ancora riuscito dopo tre album a portare a compimento il fatidico salto di categoria. Ci è andato vicino nel 2007, con un ‘Andromeda Unchained’ che metteva in luce buone qualità collettive. Ma vuoi per il songwriting tutto sommato convenzionale, vuoi per la concorrenza a dir poco spietata, le luci dei riflettori sono rimaste finora lontane. Oggi il combo di Aalborg ci riprova, con un concept album di belle speranze studiato nei minimi dettagli. Salutato da più parti come il capolavoro non annunciato di un 2009 già generoso in campo prog, il quarto Anubis Gate vuole imprimere alla carriera della band la svolta da lungo tempo tentata ma non ancora compiuta.

Siamo dunque di fronte alla new sensation del progressive europeo? Non proprio.

L’antica (e forse perduta) arte di misurare le parole comanda un netto giro di vite sulle ambizioni di ‘The Detached’. Più germanico che scandinavo, l’album risente in modo evidente dell’influenza dei quasi-classici del prog tedesco (Vanden Plas, Ivanhoe, Poverty’s No Crime…) oltre che del power/heavy dalle tinte fosche di casa Evergrey. Il punto di riferimento fondamentale, comunque, restano gli intramontabili Fates Warning – si faccia girare il refrain di ‘Lost In Myself’ per sincerarsene. Il songwriting adotta sonorità moderne, con strutture elaborate ma agevoli da seguire, riff rocciosi che tradiscono i retaggi thrash della line-up e melodia quanta ne basta.

I mezzi ci sono, ma si osa poco.

Di tanto in tanto la band prova a metterci del suo, sempre con cautela e senza esagerare. Timide contaminazioni elettroniche fanno capolino su ‘Options – Going Nowhere’, prudenti orientalismi accompagnano le percussioni di ‘Pyramids’: rifiniture pregevoli che non snaturano la matrice tradizionalista delle composizioni. Lo stesso singer Jacob Hansen (a chi non ricorda Nils K. Rue dei Pagan’s Mind?), impeccabile nell’esecuzione, pone a tratti più attenzione alla compostezza che al feeling: ne risentono i pezzi più melodici, come la ballad ‘Out Of Time’. L’impatto complessivo è comunque positivo, soprattutto in grazia di riffing giustamente old school (da non perdere in particolare l’attacco di ‘Find A Way’).

Certo, è difficile compiere imprese memorabili quando manca la determinazione ad abbandonare le miti acque della tradizione. Chi ha fatto l’orecchio a sperimentazioni più intriganti, dentro e fuori i territori prog, difficilmente troverà in ‘The Detached’ qualcosa in grado di stupirlo. Forse il limite degli Anubis Gates sta proprio nella smania di fare il colpo grosso, che si trasforma in paura paralizzante di compiere un passo falso. In queste condizioni, sarà difficile sfondare.

Nonostante qualche calo di tono il songwriting si attesta comunque su buoni livelli, soprattutto nella seconda metà: pattern strumentali bene articolati e qualche tempestivo guizzo melodico fanno del nuovo Anubis Gate un boccone appetibile per i veterani del settore. Attenzione però ai facili entusiasmi. I veri alfieri del progressive sono spanne avanti.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. On The Detached
2. Find A Way (Or Make One)
3. Yiri
4. Lost In Myself
5. Dodecahedron
6. Pyramids
7. Out Of Time
8. Bloodoath
9. Ammonia Snow
10. Options – Going Nowhere
11. A Lifetime To Share
12. The End

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