Recensione: The Deviant Hearts
Somebody
Give us a story
Narrate all the places
That we’ll never see
Give us a haven
For our imagination
So at least in our minds
We can attempt to be free…
Figure ectoplasmatiche aleggiano in una notte senza fine; sentimenti e pensieri che prendono forma, velati d’opacità mentre vengono timidamente attraversati dal tenue pallore lunare, trasportati da una musica che si fa anch’essa eterea, impalpabile ed ineffabile. Phantasma. Un progetto nato da un’idea di Georg Neuhauser, voce degli austriaci Serenity, che allo scopo di deviare un po’ dallo stile della band principale ha deciso di unire le forze con il polistrumentista e produttore Oliver Philipps (Everon). Sarà poi quest’ultimo, anche e soprattutto alla luce delle sue passate collaborazioni con i Delain, a contattare la bella Charlotte Wessels per completare il bizzarro trio. L’olandese accetta la proposta con enorme entusiasmo, coronando a sua volta in questo progetto il sogno di presentarsi in veste di autrice, oltre che delle liriche di tutti i brani, della novella “The Deviant Hearts” scritta appositamente per il disco. Un concept album, insomma, le cui vicende musicali sono intrecciate con un qualche sviluppo narrativo. Notevole anche l’artwork del milanese Marco Mazzoni (da “The Deviant Hearts” a Deviantart il passo è breve), che colpisce ad un primo impatto con le sue figure raffinate dal volto alato quanto inquiete e struggenti.
Il primo impatto col disco non è dei più facili. Il genere proposto è infatti un prevedibile metal ultra-melodico, con qualche situazione tendente al gothic e qualche altra ai limiti dell’AOR o del pop che potrebbero scoraggiare gli ascoltatori meno open-minded. Peggio per loro, beninteso.
L’intro “Incomplete” coi suoi tre minuti scarsi di voce e pianoforte prelude con encomiabile tristezza al resto del lavoro; entra Charlotte, continua Oliver e poi duetto ed incroci: la vita non è una gran sinfonia, come suggeriscono le liriche, eppure quei fuochi d’artificio sullo sfondo…
Piano e chitarra in apertura per la titletrack “The Deviant Hearts”, poi per fortuna pare di scorgere una chitarra distorta e del drum-working assieme all’orchestra, il che ci fa dedurre che possiamo scriverne su Truemetal.it. Strofa con voce maschile ritorna leggera con accompagnamento di chitarra e tastiera e via col ritornello carismatico in uno tra i pezzi più intensi del lotto.
Il viaggio interiore continua nel mid-tempo “Runaway Grey”. Di nuovo strofa melodica e ritornello trascinante con un bell’intermezzo con aumento di tempo. Ospiti d’eccezione per la ballad strappalacrime “Try” la voce di Cloe Lowery (Trans-Siberian Orchestra) assieme a Dennis Schunke (Van Canto) in un duetto inedito che cresce d’intensità fino alla malinconica chiusura.
Piano e chitarra riverberata in apertura per l’avvincente “Enter Dreamscape”, sempre con quel gusto da tristezza a palate alla Mariottide in avvio, ma anche qui all’improvviso il pezzo vira rapidamente verso un riffing più serrato stile Avantasia con refrain goticheggiante. Continuiamo col rock più duro in “Miserable Me”, ancora buono il tiro ed ottimi gli arrangiamenti, si perde un po’ sul ritornello e forse si fa sentire la mancanza di Charlotte (presente solo in backing nel ritornello come ben mostrato nel video ufficiale).
Altra piccola gemma all’interno di questo “The Deviant Hearts”, la sontuosa ballata “The Lotus and the Willow”. I suoni ambientali in apertura e chiusura (fruscio dell’acqua, cinguettio degli uccellini) continuano a fornire la cifra della cura maniacale con il quale questo progetto è stato trattato. Davvero magico ed evocativo il ritornello nella sua elegante semplicità che richiama al freddo dell’inverno, così come il breve ma intenso solo neoclassico.
Sound cinematografico più moderno con tanto di elettronica per “Crimson Course”, azzeccato stavolta il ritornello maschile. “Carry Me Home” è invece un brano molto Delain, con il gradito ritorno dell’ospite Dennis Schunke nella strofa ed un evocativo intermezzo chitarristico.
Ancora una ballad stile Meat Loaf, stavolta un po’ più scontata “The Sound of Fear”, alla quale segue una tiratissima “Novaturient”, pezzo quasi power con un comparto orchestrale invidiabile.
Chiude il lungo flusso di coscienza di “The Deviant Hearts” il singolo “Let it Die”, brano che si lascia apprezzare ed a buona ragione può essere considerato un ottimo antipasto dell’intero lavoro: emozione, melodia, duetti ed ottimi arrangiamenti.
In conclusione, “The Deviant Hearts” è un disco che cresce con gli ascolti, nel suo lento palesarsi in forma eterea come il moniker del progetto, Phantasma, suggerisce. Un album raffinato e compatto, che trova i suoi punti di forza nelle melodie dal forte impatto emozionale, facili e catchy ma mai banali, negli arrangiamenti di prim’ordine e nelle interessanti soluzioni vocali sperimentate dai due interpreti. Alla ricerca di un appiglio tra forma e sostanza di un essere impalpabile, forse potremmo annoverare tra i difetti del disco l’assenza di brani più duri e veloci, cosa che farà sicuramente storcere il naso ai puristi del metallo. Peccato anche per il fatto che per godersi interamente l’opera ed entrare nei ricami dell’intera storia sia necessario acquistare la deliziosa quanto dispendiosa versione 3CD + Earbook (con tanto di storia narrata dalla Wessels), fatto abbastanza discutibile nell’era di Spotify e iTunes.
Nella fabula musicale di questa triste storia tra cuori e devianze, “The Deviant Hearts” si lascia ascoltare e riascoltare con immenso piacere, regalando piacevoli ed emozionanti spazi di tranquilla riflessione nelle gelide notti d’inverno. And it’s a cold winter, and a cruel fate…
Luca “Montsteen” Montini