Recensione: The Devil You Know
Aprile 2009: in quanti abbiamo aspettato spasmodicamente il momento dell’uscita di questo album? Ansia, curiosità, emozione, una miriade di congetture, e soprattutto la smania di possedere l’oggetto del desiderio ci hanno accompagnato fino al momento solenne del primo ascolto! Tuttavia, prima di renderci vulnerabili agli attacchi di pelle d’oca causati dalle inconfondibili note di questa band intramontabile (i più impazienti, sicuramente, non avranno saputo aspettare, e avranno già goduto dell’anteprima di “Bible Black”, il singolo disponibile da qualche settimana sul sito ufficiale), soffermiamoci per un attimo ad ammirare l’artwork della copertina, uscito dalla tavolozza di un artista norvegese che risponde al nome di Øyvind Haagensen; anche in questo caso (come peraltro avvenne in occasione di “Heaven and Hell”, allorché si optò per “Smoking Angels” di Lynn Curlee, e di “Mob Rules”, ove si utilizzò “Mob Dream” di Greg Hildebrandt) si è deciso di rifarsi a un dipinto preesistente, nella fattispecie appunto denominato “Satan” (e ti pareva), creazione del citato pittore nordico: a tale proposito va però osservato, a onor del vero, che l’opera originale risulta leggermente differente rispetto a quella che appare sulla cover del disco, essendo quest’ultima caratterizzata da una componente cromatica rosso sangue, nonché dalla presenza del crocifisso sullo sfondo. Un’altra curiosità che merita di essere sottolineata è la presenza, nella striscia orizzontale che reca i nomi dei componenti della band oltre al titolo dell’album, dei numeri 25 e 41, che hanno scatenato una ridda di ipotesi formulate dai fan di tutto il mondo nei vari forum e blog dedicati, portando alla ribalta le interpretazioni più disparate in merito (anni di attività dei Black Sabbath, numeri di canzoni prodotte, versetti della Bibbia…). Il mistero tuttora permane. La nostra modesta esegesi, alla luce di quanto emerso da un libero “summit” tra i Dio-fans storici di tutto il mondo, propenderebbe per un più attendibile (considerato il contesto) verso di Matteo, 25:41, che recita: “Then shall he say also unto them on the left hand, depart from me, ye cursed, into everlasting fire, prepared for the devil and his angels”.
Ma è giunta l’ora di farci investire dai diffusori con la prima delle dieci tracce presenti, ovvero Atom And Evil, che è introdotta da un riffone cupo e reiterato, tanto da penetrare nel cervello come la punta di un trapano d’acciaio puro, fino a quando una voce suadente e carezzevole attenua il turbamento iniziale. Ascoltando il testo della canzone appare evidente che le liriche siano frutto della creatività di Dio, per la presenza delle ricorrenti metafore che ne caratterizzano da sempre il songwriting. La ritmica è greve e cadenzata, come si addice allo stile Sabbath, e questo primo pezzo conferma le ottime impressioni e gli entusiasmi suscitati con i tre inediti dell’ultimo lavoro, ovvero “Black Sabbath: the Dio Years” (mi riferisco a: “The devil cried”, “Ear in the wall” e “Shadow of the wind”), riprendendone le classiche tematiche.
Il secondo brano, Fear, registra un sensibile aumento di velocità, sebbene ancora contraddistinto da toni quanto mai oscuri, con un riff ossessivo e “maledetto” che si insinua nelle pieghe dell’anima dall’inizio alla fine. Superstizione e paura sono le componenti di questo inquietante episodio, in cui basso e batteria intessono una trama sostenuta e robusta, pesante ma nello stesso tempo assai variegata.
Bible Black si apre con un arpeggio dolce e profondo, inequivocabilmente marchiato Iommi, mentre la voce di Dio, flautata e delicata, fa salire i brividi ai consueti livelli di emotività: la triste e mirabile melodia rappresenta la quintessenza del connubio tra le menti creative di due geni del pentagramma quali Toni e Ronnie. Ma l’apparente dolcezza iniziale non tragga in inganno i nostri spiriti: infatti non si fa in tempo a cullarsi in queste note così calde e soavi, che subito il ritmo si impenna bruscamente, e la voce si fa più potente e cattiva, in un crescendo di intensità corale che scolpisce nella roccia un altro capitolo destinato a scatenare l’headbanging più forsennato in ambito live, per scaricare il carico di adrenalina che scorre nelle vene! Funesta ma di ampio respiro, struggente ancorché versatile nella sua espressività, questo singolo si candida come il momento più significativo dell’intero disco, dal quale – stando alle dichiarazioni ufficiali – dovrebbe scaturire un video destinato a suscitare fin d’ora la più morbosa delle curiosità!
Double The Pain esordisce con un’intro di basso malvagia e penetrante, ripresa e irrobustita dalla possente sei corde di Iommi, che sostiene la melodia accompagnando il ritornello per tutto il brano. Celebrazione del dolore, questa tetra canzone in bianco e nero evidenzia una grande performance del magico folletto, immenso nel condire le sue linee vocali con tecnica sconfinata e gusto inimitabile. La chiusura è segnata da vivaci stacchi e rullate di un Vinnie sempre preciso e massiccio.
Anche le sonorità di Rock And Roll Angel tradiscono le loro origini (nella fattispecie: la premiata ditta Dio/Iommi), essendo sempre improntate su toni crepuscolari di grande intensità e ricchezza. L’assolo si svolge evidenziando la consueta, spiccata personalità, per poi rituffarsi nello spessore del refrain, e tradursi nella suggestività degli arpeggi che si dissolvono, alla fine, come sinistre sagome nella nebbia.
In The Turn Of The Screw il cantato e i riff sono allineati su una base ritmica sostenuta e assai potente: il sound, grazie soprattutto al contributo chitarristico, è aspro e grezzo, tremendamente diabolico. Le parti vocali sono gestite con sapienza e mestiere, mentre l’assolo, per l’immediata riconoscibilità della sua timbrica, risulta sempre provvisto dell’inconfondibile e già citato marchio di fabbrica.
Eating The Cannibals parte sparata, con tutti gli strumenti tirati a manetta, lanciati all’unisono in una cavalcata mozzafiato fino al momento cruciale del bridge, con la voce demoniaca ma sempre densa di pathos che precede l’assolo, agile e spigliato; la canzone, anch’essa di orientamento drammatico e solenne, sia pure abbastanza variegata nei passaggi e nei cori, si chiude in modo brusco lasciando un retrogusto dolceamaro.
Un inquietante e mistico tappeto di tastiere, intrecciato con riff a dir poco terrificanti, costituisce l’esordio di Follow The Tears, con la marcia dei tamburi che segna il tempo e prelude a un cruento clima di battaglia. L’aria che si respira è decisamente infernale, e il sound nel suo complesso tiene l’anima in sospeso, ma con l’ingresso della voce il brano assume una sua fisionomia ben precisa; dal canto suo, l’apporto della sei corde è altrettanto determinante nel conferire all’atmosfera quella sorta di dannazione che avvolge l’intero pezzo. Il drumming, aspro e inesorabile, ne scandisce l’incedere in linea con la fosca ambientazione, sotto un cielo grigio, accompagnando la canzone attraverso scenari nebbiosi e lividi, per poi allontanarsi col suo carico di angoscia nella chiusura sfumata.
L’apertura di Neverwhere è decisa ed esplosiva, ma di stampo sempre dark: la ritmica è sostenuta e il vocione di Ronnie assurge a maestoso protagonista, alternativamente a stacchi e rullate che danno varietà e colore al pezzo, introducendo un assolo pieno di energia e smaccatamente hard rock (forse qui più che altrove), fino alla fine della canzone, che si chiude in modo brusco così come era cominciata.
Breaking Into Heaven presenta il suo biglietto da visita con un timing cadenzato, di grande solidità. Le tonalità sono più che mai grevi e oscure, sottolineate dalle poderose mazzate di Vinnie, mentre l’avvincente ugola di Ronnie interviene con il solito vigore a descrivere orizzonti perduti. La storia, condita dalla navigata forza interpretativa di R.J.D., racconta di angeli caduti che vogliono sovvertire l’ordine costituito, lanciando un attacco al Paradiso per cambiare le regole del gioco. Peccato e tentazione sono le tematiche di questo roccioso episodio, che evoca immagini di furiose battaglie e paesaggi apocalittici.
Siamo giunti alla fine del nostro epico viaggio nelle magiche atmosfere create da questi mostri sacri che, dopo più di 40 anni di onorata carriera, continuano a regalare al pubblico fantastiche emozioni con immutata freschezza e classe cristallina. Quel progetto che, nel suo stato embrionale, fu concepito nel 2005 a Londra durante un incontro di RJD con il manager di Toni Iommi e che emise i primi terrificanti vagiti nel 2007, con un Tour mondiale di strepitoso successo, nel 2009 ha assunto i suoi connotati definitivi, ridando vita, dopo 17 anni (1992: Dehumanizer), a una fiamma che in realtà non si è mai spenta nei cuori di milioni di fans. E finalmente lo scorso inverno, nei Rockfield Studio in Galles, sono cominciate le registrazioni dell’anelata sinistra “creatura”.
Su “The Devil You Know” sono già scorsi fiumi di parole, e si sono già pronunciate migliaia di sentenze, con definizioni che vanno da “capolavoro” a “disco mediocre”, da “attesa novità” a “déjà vu”, con pareri più o meno illustri tendenti ad accostare il disco vuoi a “Dehumanizer”, vuoi a “Killing the Dragon” o, addirittura, alla ricerca di improbabili similitudini con alcune doom band (tipo Candlemass o altro)… Taluni critici hanno inoltre stigmatizzato una scarsa produzione del disco, sottolineando come le canzoni suonino “tutte uguali”… Del resto, in un’epoca così chiassosa e frenetica come quella che viviamo, dove bisogna a tutti i costi esternare, esprimersi, parlare, prendere posizione, schierarsi, confrontarsi, apparire… insomma, essere in qualche modo protagonisti, c’era da aspettarsi un tale clamore, un tale intreccio di opinioni…
Ecco: in questo scenario così vorticoso, mi sentirei di dare un modesto suggerimento, un po’ controcorrente in verità, ma forse quanto mai opportuno: quello di non lasciarsi trascinare dalla fretta e dalla competitività che la vita sempre più spesso impone, di non sentirsi obbligati a dover pronunciare giudizi o sfornare paragoni (il più delle volte inutili), ma piuttosto di fermarsi e stare in silenzio, lasciando la musica libera di entrare dritta nel cuore, nell’anima, dando spazio alle impressioni più vere, alle sensazioni più spontanee… Solo così sarà possibile cogliere l’essenza della musica e delle parole, godendo delle vibrazioni che esse trasmettono.
“Don’t close your mind… just close your eyes”, volendo citare un verso di quel grande poeta contemporaneo che risponde al nome di Ronald J. Padavona.
Infine vorrei osservare come un album di tale importanza meriti ben più di qualche ascolto, proprio perché la profondità dei suoi contenuti (sotto il profilo sia del costrutto musicale sia delle liriche) assumerà una valenza diversa ogni volta, arricchendosi sempre più di nuove tinte e sfumature. Per questi motivi ogni voto o giudizio appare quanto mai relativo: un 7 oggi, per esempio, potrebbe diventare un 10 tra un mese… L’importante, secondo l’umile parere di chi scrive, è porsi di fronte a questo lavoro con il massimo rispetto che si deve a musicisti, da oltre 40 anni, scrivono indimenticabili pagine di Storia, confermando, anche nell’ultima puntata di un’irripetibile carriera, che l’ispirazione è sempre viva e fulgida.
A suo tempo, avendo avuto la fortuna di seguire buona parte del Tour 2007, scrissi che Heaven and Hell era la miglior band in circolazione. Nel confessare che non vedo l’ora di rispolverare il mio trolley in vista delle prossime date europee (a “Dio” piacendo), il mio consiglio rivolto a tutti i lettori è di prenotare il biglietto e vivere una coinvolgente esperienza “live” al cospetto di queste straordinarie leggende viventi, abbandonati alla magia e pervasi da fantastiche suggestioni in sospeso tra sogno e realtà, bene e male, luce e buio, redenzione e peccato… insomma tra… Heaven and Hell:
The lover of life’s not a sinner
The ending is just a beginner
The closer you get to the meaning
The sooner you’ll know that you’re dreaming…
Marcello Catozzi
Discutetene sul forum nel topic relativo!
Tracklist:
1.ATOM AND EVIL
2.FEAR
3.BIBLE BLACK
4.DOUBLE THE PAIN
5.ROCK AND ROLL ANGEL
6.THE TURN OF THE SCREW
7.EATING THE CANNIBALS
8.FOLLOW THE TEARS
9.NEVERWHERE
10.BREAKING INTO HEAVEN
Formazione:
Ronnie James Dio: vocals
Toni Iommi: guitar
Geezer Butler: bass
Vinnie Appice: drums