Recensione: The Dirty Affair (EP)
I Kezia sono una band nata nel 2013 ad opera del cantante Pierlorenzo Molinari, del chitarrista Antonio Manenti e del tastierista Alberto Armanini, i quali, con la collaborazione di Andrea Piovani al basso e Matteo Vigani alla batteria, nel 2014 realizzano un EP dal titolo “The Dirty Affair”. In questi giorni il mini-album è disponibile per logic(il)logic Records, e, nel frattempo, i Kezia hanno completato la propria formazione con l’aggiunta di Fabio Bellini alle quattro corde e Michele Longhena dietro i tamburi.
La band si cimenta audacemente in un crogiuolo musicale che si accentra sul progressive rock e sul prog-metal, ma che arricchisce il proprio sapido piatto musicale – peraltro in ossequio alla vocazione crossover del vero prog – d’ingredienti jazz, pop, ed elettronici.
In effetti, brani come Before I Leave propongono un intricato prog-metal ricco di molteplici stacchi e cambi di atmosfera, nonché marcatamente caratterizzato dalla teatralità del canto e da una chitarra in bella vista sia nei momenti più aggressivi che in quelli più evocativi. Ebola, altresì, è un mix veloce di platealità vocale e tastiere che si dividono tra elettronica, prog e jazz. The Dirty Affair (Between Pelican And Bear) è sempre un esercizio di stampo progressive, ma qui marcato da più ampli momenti melodici e da sprazzi sinfonici (con i tasti d’avorio in bella vista), così come Quendo, peraltro contrassegnata da limpidi assoli della sei-corde.
Più lineari si mostrano Barabba Son’s Song, traccia energica arricchita da grintosi “botta e risposta” di chitarra e tastiere, e Sneakers, con il basso spesso in evidenza che, insieme agli altri strumenti, delinea anche un brillante mood swing.
Infine Treesome, preceduta da Preludio, breve ed emozionante frammento di chitarra acustica e tastiere, si profila come uno dei brani più affascinanti, brillantemente frammentato com’è tra parti tipicamente prog ed altre cadenzate ed epiche.
The Dirty Affair è un mini album che palesa, quindi, la volontà dei Kezia di non trincerarsi dietro i facili canoni di un singolo genere musicale, e propone, dunque, un mix caleidoscopico di influenze.
Si distingue, in particolare, l’eclettismo della voce di Pierlorenzo Molinari, ma tutti i musicisti di contraddistinguono per maestria e competenze tecnica, messe al servizio di una fantasia quasi zappiana.