Recensione: The Divinity Of Oceans

Di Angelo D'Acunto - 16 Settembre 2009 - 0:00
The Divinity Of Oceans
Band: Ahab
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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80

Usciti allo scoperto quasi tre anni fa con lo splendido The Call Of The Wretched Sea, disco osannato sia dalla critica specializzata, sia da tutti i seguaci del genere, i tedeschi Ahab sono riusciti, con un semplice colpo, a dare rapidamente vita ad un genere etichettato da loro stessi come “Nautik Funeral Doom”, tanto estremo nelle sue sonorità, quanto affascinante nelle tematiche trattate. Ed è infatti il mare l’elemento su cui ruotano nuovamente i testi del combo tedesco, come già ci avevano fatto capire con il precedente concept basato sul celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. Ma qualcosa questa volta è cambiato, sopratutto per quanto riguarda le sonorità che ritroviamo racchiuse in questo nuovo e secondo capitolo che risponde al nome di The Divinity Of Oceans.

La novità principale è infatti una sorta di cambio di rotta verso territori più melodici, come se la band volesse rendere i propri lavori più accessibili alle “masse”, o almeno a chi il funeral doom non lo digerisce nemmeno sotto tortura. Ci troviamo quindi di fronte a basi nettamente funeral, però condite da arrangiamenti decisamente più epici, a volte anche delicati ed eleganti con tanto di chitarre in clean ed uso di voci pulite, più alcuni tratti che sfiorano, attenzione, addirittura lidi psichedelici. Resta comunque il fatto che, d’altro canto, non manca di certo la pesantezza che contraddistingue il genere in questione, sopratutto per quanto riguarda la lentezza soffocante delle partiture, sulle quali si regge in ottimo modo il growl gutturale del singer Daniel Droste. Il tutto è confezionato con una certa eleganza che favorisce non di poco la più facile assimilazione di tracce comunque dotate di un minutaggio piuttosto elevato (fra gli otto e i dodici minuti per brano) e che, sopratutto, mette ancora più in risalto quelle atmosfere decadenti e drammatiche che ritroviamo sempre presenti per tutta la durata della tracklist.
L’apertura è affidata alla claustrofobica Yet Another Raft Of The Medusa (Pollard’s Weakness), traccia introdotta da lenti e delicati arpeggi di chitarre in clean che lasciano spazio, successivamente, a linee melodiche malinconiche ed ossessive accompagnate efficacemente dalla voce di Droste, ora più cavernosa e in netto contrasto con le partiture, ora melodica e sognante. Tutti elementi nuovi per il sound degli Ahab (come avevamo già fatto notare) e anche piuttosto derivativi, come nel caso dei netti richiami ai My Dying Bride della successiva title-track, ma comunque ben strutturati e capaci di mantenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Se la monolitica O Father Sea è caratterizzata da una parte iniziale più cupa e fedele al passato della band, condita poi da una sezione centrale dal netto sapore epico, la seguente Redemption Lost mette ancora più in risalto la componente melodica e (senza esagerare) raffinata del combo tedesco. Aggiungono invece ben poco le successive Tombstone Carousal e Gnawing Bones (Coffin’s Lot) (rimanendo comunque fisse su livelli qualitativi molto alti): la prima più diretta e capace di mettere in risalto il lato più cattivo della band, mentre la seconda offre spunti paragonabili ad una versione dei primi Katatonia rallentata all’inverosimile. Chiude il disco la splendida Nickerson’s Theme, dove a regnare sono sopratutto gli eleganti arpeggi delle chitarre, delicati e, allo stesso tempo, accompagnati da un’aura oscura capace di trasmettere un senso di inquietudine prima degli ultimi spasmi più elettrici e dirompenti che caratterizzano il finale del brano.

Insomma, gli Ahab in un certo senso riescono a sorprendere, sopratutto chi era abituato alle sonorità del precedente The Call Of The Wretched Sea, riuscendo anche ad essere capaci di conquistarsi nuovi seguaci grazie ad un sensibile (ma ugualmente degno di nota) alleggerimento del sound, dando comunque nuovamente prova di tutte le abilità compositive messe già ampiamente in mostra con il capitolo precedente. Infine, un cenno è d’obbligo anche per lo splendido artwork raffigurante un dipinto di Théodore Géricault, denominato Le Radeau De La Méduse.

Angelo ‘KK’ D’Acunto

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Tracklist:

01 Yet Another Raft Of The Medusa (Pollard’s Weakness)
02 The Divinity Of Oceans
03 O Father Sea
04 Redemption Lost
05 Tombstone Carousal
06 Gnawing Bones (Coffin’s Lot)
07 Nickerson’s Theme

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