Recensione: The Dream Calls For Blood
Un manuale di thrash/speed metal old school: che altro, in effetti, potevamo aspettarci da una band come i Death Angel?
Per tutta la durata dell’album Rob Cavestany e Ted Aguilar macinano riff mitraglianti senza sosta infondendo ad ogni nota tutta l’energia possibile, mentre Mark Osegueda fornisce una prestazione vocale solida, chirurgica e feroce, lasciandosi andare in più d’un occasione a screaming ultrasonici di grande impatto. Completano il quadro i due acquisti più recenti, Damien Sisson al basso e Will Carroll alla batteria: due macchine da guerra che contribuiscono in maniera notevole alla riuscita del tutto.
Entrando nello specifico delle composizioni risulta immediatamente evidente la comunanza di matrice sonora e contenutistica alla base di tutte le canzoni, in ogni caso in grado di mantenersi su livelli qualitativi globalmente elevati, con menzione particolare per la tostissima opener “Left For Dead”, sorretta da ritmiche inesorabili e valorizzata da un ottimo refrain, e per le altrettanto riuscite “Son Of The Morning”, “Fallen” e “The Dream Calls For Blood”, tutti esempi perfetti di speed/thrash dinamitardo come non ci si stanca mai di ascoltare. “Succubus” continua a pestare duro mentre “Execution/Don’t Save Me” introduce delle leggere variazioni sul tema, andando a spezzare il ritmo sostenutissimo delle prime cinque tracce in scaletta in attesa della granitica “Caster Of Shame”, un vera e propria scheggia di metallo tagliente sparata a duemila all’ora. Chiudono, sempre a vele ben spiegate, l’indiavolata “Detonate”, altro pezzo da novanta, la speedy “Empty” e la conclusiva e più articolata “Territorial Instinct”, una sorta di mini suite in grado di mettere in luce l’abilità degli statunitensi nello scrivere trame mai banali.
Da gruppi come i Death Angel, oggi, non è probabilmente lecito aspettarsi, innovazione o rottura di schemi; è invece doveroso aspettarsi che facciano il proprio sporco lavoro con la grinta (e l’esperienza) che compete loro. Obiettivo centrato, “The Dream Calls For Blood” non inventa nulla ma si ascolta che una meraviglia: averne di album di questo livello.
Stefano Burini
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