Recensione: The Dreamer – Joseph: Part I
Torna Neal Morse e la sua discografia dai toni profetici, questa volta con un concept album incentrato sulla figura del patriarca Giuseppe. The Dreamer – Joseph: Part One tratta, infatti, della vicenda dell’interprete dei sogni che anticipa la figura del Messia con il grande messaggio del perdono gratuito che vince la sete di vendetta. Grandi artisti hanno trattato questa storia, su tutti Thomas Mann in Joseph und seine Brüder; Neal Morse lo fa a suo modo in chiave musicale, per di più dopo l’exploit di Jesus Christ The Exorcist pubblicato nel 2019 e Sola Gratia nel 2020.
Cosa aspettarsi allora da questa uscita? Diciamo che l’innovazione non è richiesta, visti i picchi toccati nel precedente doppio album, quello che vogliono i fan è coerenza nel sound di Neal e una storia sacra ben raccontata. Con un tale obiettivo in mente l’ex-Spock’s Beard questa volta non chiede aiuto al duo Portnoy–George ma, mentre si conferma polistrumentista, al suo fianco chiama a raccolta gli amici più fidati: la voce fatata di Ted Leonard (Spock’s Beard, Pattern Seeking Animals) nei panni di Giuda; Matt Smith (Theocracy) in quelli di Ruben; il figlio Wil (chi altri?), in veste di Beniamino. Per quanto riguarda il comparto strumentale non mancano le chitarre di Steve Morse (Deep Purple, Flying Colors) e quelle di Eric Gilette (compagno di viaggio della The Neal Morse Band), ma compaiono anche arrangiamenti d’archi e note di sax. L’album esce per Fronters Music e Radiant Records, la label fondata dallo stesso Neal Morse, ormai uno e trino, diviso tra band solista, Transatlantic e Flying Colors. Il mix è opera di Jerry Guidroz e sulla produzione non c’è molto da eccepire.
Vediamo come si struttura la tracklist.
Il concept si apre con l’immancabile overture strumentale, sette minuti di follia progressive con tanta inventiva e un ventaglio di suoni variegato. Dopo vent’anni abbondanti Neal Morse riesce ancora a muoversi nei saliscendi emotivi del pentagramma in modo encomiabile, non possiamo che invidiare la sua longevità creativa. “Prologue/Before the World Was” è un pezzo toccante, con testi da brividi. Tornano in mente quelli di “Cradle to the grave”, ma anche i momenti migliori di Jesus Christ The Exorcist. A Neal basta una melodia, i ripieni gospel delle seconde voci femminili, l’attitudine trascinante e la sempre presente carica di autoconvincimento in quello che suona. Le note di Steve Morse aiutano non poco comunque. In sei minuti abbiamo in sostanza l’epitome di quello che sarà il disco, intriso del solito eclettismo del mastermind californiano che gli permette di passare da momenti epici ad altri scanzonati, come quelli regalati dal rock senza troppe pretese di “A Million Miles Away”, oppure nel breve intermezzo “Burns Like a Wheel” con Ted Leonard al microfono. Il concept procede diretto come fu per The similitude of a dream. È la volta di “Liar, Liar”, narrativa musicale che dipinge vivide scene da musical di Broadway, e di uno dei climax emotivi in tracklist, “The Pit”. In questa traccia Joseph è imprigionato dai suoi fratelli invidiosi a morire in un pozzo e la musica diventa cupa e senza vie d’uscita.
Arrivati a questo punto di crisi, siamo praticamente al giro di boa dell’album. Con i brani a seguire (“Like a Wall”, “Gold Dust City”) ci inoltriamo in atmosfere diverse da quelle precedenti. Joseph è diventato schiavo degli egizi e viene portato in città. Per rappresentare il contesto urbano come luogo di tentazione Neal Morse ricorre a sonorità già utilizzate in Snow e l’effetto di straniamento è assicurato. Vi è un ottimo groove anche nella catchy “Slave boy”, potenziale singolo da cantare e ricantare. Qui manca quasi del tutto la voce di Neal e restano solo voci femminili. Funziona anche il duetto in “Out of Sight, Out of Mind”, mentre “Wait on You” si rivela uno dei pezzi più riflessivi in scaletta e ripropone il sound contrito e visionario di Neal con un bell’assolo di chitarra elettrica nel finale.
Vera sorpresa è la seguente “I Will Wait on the Lord”, tributo al genio di Johann Sebastian Bach. Trovare una cantata di tre minuti in un disco progressive è il quid che fa salire il livello qualitativo del concept, anche a rischio di spaesare l’ascoltatore. Neal riesce invece a rendere il tutto coeso riproponendo subito dopo questo highlight toccante una breve ripresa dell’overture strumentale, per poi catapultarci nella mente di Joseph attraversata da turbamenti blues (“Ultraviolet Dreams”). Le danze si chiudono con “Heaven in Charge of Hell (Eat ‘Em and Smile)” e “Why Have You Forsaken Me?”. Ritornano alcune parti di sax, le parti vocali e i ripieni che ci aspettiamo; la potenza drammatica delle liriche e la storia si ferma sulla preghiera di Joseph che si sente abbandonato dal suo Dio.
Anche questa volta, insomma, Neal Morse non delude. Certo, per essere gratificati dal lato mistico della sua musica solista bisogna entrare nel giusto mood; fatto questo The Dreamer – Joseph: Part I regala alcuni momenti gratificanti. Non vediamo l’ora del secondo capitolo del concept che, immaginiamo, prevede l’agnizione e il perdono finale da parte del patriarca biblico. Lunga vita al narratore Neal Morse!