Recensione: The Dregs of Hades

Di Daniele D'Adamo - 26 Novembre 2021 - 0:00
The Dregs of Hades
Band: Lock Up
Etichetta: Listenable Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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65

È giunta l’ora del quinto full-length, per i Lock Up: “The Dregs of Hades”. Con una formazione che vede il rientro di Tomas Lindberg alla voce ma, soprattutto, con l’ingresso di Adam Jarvis, batterista di grande esperienza e professionalità che, nel suo curriculum vitæ, può presentare – fra gli altri – gente come Misery Index, Pig Destroyer e Scour.

Inutile dirlo, prosegue l’erogazione di quel sound apocalittico che li ha resi noti agli appassionati. Niente da fare, insomma: gli inglesi prendono la musica maledettamente sul serio per cui era inutile aspettarsi qualcosa che non fosse direttamente legato al DNA-Lock Up che ha avuto origine nel 1998 e che, allo scorrere del tempo, non ha mai mostrato alcun tentennamento nella riproposizione di dischi dall’impatto mostruoso. Anzi, adesso che ci sono due cantanti, il ridetto Lindberg a far duetto con il membro fondatore Kevin Sharp, sembra che la ferocia sia ulteriormente aumentata, invece che diminuire come di solito accade quando i componenti cominciano a superare gli anta.

Ma non solo, Jarvis è drummer fra i migliori della scena del metal estremo, anzi super-estremo. In grado, cioè, di volare alla velocità della luce senza perdere nemmeno un watt di potenza. Nemmeno quando i blast-beats scatenano la follia, l’allucinazione. Anche in tali frangenti la sezione ritmica, comprendente l’altra icona natìa Shane Embury, spinge con un’energia inusitata, risultando – almeno a parere di chi scrive – una delle più pulite e devastanti del metallo oltranzista.

C’è anche da osservare che non è stata nemmeno dimenticata la provenienza dalla scena hardcore, diventato ai tempi grindcore. Un po’ come gli Slayer, giusto per fare un esempio, che hanno abbondantemente bagnato il loro stile nel suddetto genere *.core. Come dimostra in maniera lampante la micidiale ‘Black Illumination’, brano che sa un po’ di altri tempi.

Comunque qualcosa si è mosso, nel corso del tempo. Cioè, lo spostamento dal sunnominato puro, semplice e inumano grindcore (‘Dark Force of Conviction’) al death metal (‘A Sinful Life of Power’). Un percorso che, si ripete, non ha portato a un infiacchimento del sound. Anche quest’ultima rappresentazione della massima energia realizzativa non è seconda a nessuno, in termini di decibel eruttati dalla strumentazione e dalle due ugole scatenate. Niente di tutto ciò. Anzi, la sterzata verso il death ha consentito al combo di Birmingham di appesantire ulteriormente il proprio stile, grazie soprattutto a qualche rado rallentamento che ha prodotto ulteriore tonnellaggio (‘Triumph of the Grotesque’). Senza dimenticarsi, in ogni caso, di impazzire improvvisamente nel partorire brani da improvviso colpo apoplettico, come la bestiale ‘Nameless Death’.

Ebbene, questa concessione al death di alcuni dettami stilistici primigeni ha portato a una se non una vigorosa ventata, a un leggero refolo d’aria fresca allo stile, un poco più personale rispetto a quello della produzione precedente. Ovviamente non c’è da aspettarsi nulla di quanto già ascoltato e stra-ascoltato, tuttavia cercare di variare qualcosa della propria anima fecondante è cosa buona e giusta. Sempre. Anche se, a volte, non si ottengono i risultati voluti. Il che non accade, se non in parte, per “The Dregs of Hades”, ben fermo nel cammino che porta dall’intro ‘Death Itself, Brother of Sleep’ sino alla suite finale ‘Crucifixion of Distorted Existence’, il cui incipit rammenta i dannati trasportati da Caronte sull’Ade, così come da titolo dell’LP. Canzone piuttosto articolata la quale, seppur dura e granitica, ha in sé degli inaspettati inserimenti d’atmosfera tesa a rendere la canzone stessa ricca di carattere e personalità: il futuro dei Lock Up?

Ai posteri l’ardua sentenza. Per ora, essi badano principalmente a picchiare più duro possibile, a volte oltre i limiti umani. Il che, è un… limite del platter. A lungo andare, infatti, senza che ci siano singoli episodi a movimentare un andamento tutto sommato scontato, “The Dregs of Hades” perde a poco a poco d’interesse per via della sua intrinseca natura, volta quasi esclusivamente a frantumare più ossa possibili. Un po’ poco, ai nostri giorni.

Daniele “dani66” D’Adamo

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