Recensione: The Duality of Decapitation and Wisdom
Il numero sette ha un significato speciale nel corso della Storia dell’Umanità. È stato venerato nella teologia e nelle arti esoteriche di molte culture e in molte epoche, nonché osservato come un numero fondativo ricorrente nello studio del Mondo naturale.
Facendo propri i concetti di cui sopra, i Veilburner danno alle stampe “The Duality of Decapitation and Wisdom“, settimo album della loro carriera, composto da sette brani della durata di sette minuti ciascuno. La completa dedizione al valore del numero sette, insomma.
Una dedizione che consente al combo statunitense di dare vita a un disco complesso, visionario, a tratto sperimentale nel suo essere lambiccato. Il death metal, macro-genere su cui si appoggia il combo suddetto, è difatti trasceso dalla rete dei suoi dettami di base per estrinsecare una specie fortemente legata all’alto tasso tecnico posseduto dai membri della band. Una sorta di technical death metal le cui caratteristiche, però, sono distanti da quelle note.
Si ha a che fare, di conseguenza, con uno stile marcatamente personale, che rende il quintetto della Pennsylvania degno di menzione per aver provato a comporre qualcosa di diverso dal solito. Operazione che si può dire raggiunta, poiché il sound dell’LP presenta molteplici infiltrazioni di suoni, toni e richiami ambient – giusto per esplicitare qualche esempio – che esulano in toto dalla base su cui poggia il metallo della morte.
Apparentemente si può equivocare sul fatto che il songwriting sia caotico ma non è vero giacché, dopo parecchi passaggi, spunta fuori il tracciato di un operazione artistica che sa benissimo dove andare. Anzitutto, come più su accennato, ben lontano da coloro che popolano l’insieme del metal estremo. Poi, scatenando i propri tentacoli alla ricerca di accordi e segmenti musicali totalmente sconosciuti ai più.
Una specie di viaggio nel Cosmo accarezzando le orbite dei vari astri alla ricerca di tutto quanto sia legato, in un modo o nell’altro, all’ormai famigerato numero sette. Viaggio che, in realtà, avviene nella mente, ove ogni distanza è concepibile senza muoversi da ogni sistema di riferimento inerziale. E dove tutto è possibile, compreso cupi e distorti ritocchi di campana, oppure stridori di strumenti sconosciuti all’orecchio (“Tem Ohp Ab in Mysticum“).
Una volta iniziato il percorso con la su menzionata opener-track, questi si avviluppa in maniera del tutto alieno rispetto a quelli conosciuti. Mephisto Deleterio, che suona tutti gli strumenti, svela un talento smisurato nel donare coaguli sonori estremamente complessi al primo impatto, quasi impossibili da comprendere. Disarmonie, dissonanze, accidenti musicali, inserimenti di tutto quanto non sia metal, formano le fondamenta del full-length.
Ne è prova l’incipit di “The Duality of Decapitation and Wisdom Part I“, incredibile sostanza psicotropa per distorcere il pensiero al fine di affrontare la song (come del resto avviene per tutte le altre) al di fuori dello spazio e del tempo conosciuti; a mò di passaggio in una dimensione parallela dominata dalla venerazione del numero sette mediante, anche, una specie di inno estremamente arzigogolato, astruso, inconcepibile. Comprendendo anche l’aggressività e la furia brutale del death metal quando diviene cattivo (“Woe Ye’ Who Build these Crosses…Are Those Who Will Serve Us Death“), soprattutto quando si scatena la foga dei blast-beats.
Chrisom Inferniumm, che non pare avere molta voce in capitolo, con la sua dissennata interpretazione aiuta invece Mephisto Deleterio a tenere assieme il tutto grazie a un tono anche in questo caso lontano dalla normalità dei cantanti metallici. La conseguenza immediata del connubio fra i due attori è l’ascesa iperbolica della parte lisergica delle canzoni del platter, come d’altronde si poteva prevedere.
Canzoni che, una per l’altra, realizzano nella realtà quello che alberga nella mente dei Veilburner. Ciascuna di esse è un modo diverso per estraniarsi dalla fisicità, per sublimare nell’incredibile ambito ove si sviluppano le idee originali che si trovano profusione in “The Duality of Decapitation and Wisdom“.
Daniele “dani66” D’Adamo