Recensione: The Elders’ Realm
Si autodefiniscono “epic death metal” i tedeschi Kambrium e non possiamo certo dargli torto, anche se va detto che si tratta di un’etichetta che funziona solo se applicata a posteriori, in quanto priva di canoni stilistici precisi o gruppi di riferimento. E infatti dall’ascolto di questo lavoro titolato “The Elders’ Realm” emergono diverse sfaccettature che arricchiscono (e a volte sporcano) la proposta musicale dei nostri. E’ da subito lampante una passione spiccata per il death melodico e tastieristico dei Children of Bodom, forse il gruppo che ha influenzato maggiormente il sound della band, ma attenzione a non bollarli come gruppo clone come era stato per i Norther o i Kalmah, infatti a personalizzare il death melodico dei Kambrium è la forte componente epic. L’atmosfera di forte epicità non è dettata solo dalle tastiere, che si concentrano più sulle melodie che sui momenti atmosferici o sinfonici (che pure sono presenti, ma non predominanti), quanto dal lavoro chitarristico che in certi riff sfocia quasi nel viking metal. Se a questo aggiungiamo un alternarsi di clean vocal e growl appare chiaro che nel complesso la proposta risulti abbastanza variegata.
Il primo minuto di “Abyssal Dreams” è una breve intro sinfonica piacevole e ben congeniata che fa da preludio al brano vero e proprio, dinamico e ricco di elementi che rimandano al tipico sound Bodomiano quali cambi di tempo, stacchi melodici e assoli incrociati di chitarra e tastiera. L’unica scelta che trovo un po’ azzardata, e che purtroppo sarà una costante di quasi tutto l’album, è l’uso delle clean vocals nel ritornello. Non solo trovo che la voce di Karsten Simon sia un po’ piatta e inespressiva, ma sono convinto che un uso di cori massicci e potenti sarebbe stato più adeguato visto il clima epico che pervade l’intero album. Decisamente più convincente il growl profondo e potente di Martin Simon, frontman e bassista della band.
Si cambia subito registro con la successiva “Through Shades and Despair”, più cupa ed aggressiva con qualche sprazzo di black sinfonico a condire il tutto. La presenza limitata di voci pulite rende più godibile il pezzo, tra sfuriate black e rallentamenti death. “Conjure the Lost” è l’immancabile pezzo dall’atmosfera egiziana qui rivista in chiave melodic death. Il brano funziona e risulta godibile, mentre non si può dire lo stesso per la title track, che vede come ospite d’eccezione Thomas Winkler, cantante dei power metaller Gloryhammer, il quale risulta un po’ fuori luogo in un contesto extreme metal e per di più in uno dei brani meno convincenti dell’album.
Il combo tedesco si risolleva subito grazie ai due brani successivi, che risultano un po’ più semplici rispetto agli altri sia per linearità delle composizioni, le quali presentano meno variazioni ritmiche e assoli, che per la scelta delle melodie, molto più immediate e dirette: “Shattered Illusions”, più distesa e melodica, ricorda ancora una volta l’amore dei Kambrium per i Children of Bodom, mentre con la cadenzata “Colossus of the Seas” le atmosfere tornano a farsi più dense e minacciose, per poi aprirsi nel ritornello dalla giusta carica melodica.
In “Reckoning of the Great” il gioco di mescolare tra loro stili diversi non riesce, ma anzi rende il brano confuso e contorto. A dire la verità il pezzo parte bene, ma si perde subito in mezzo a cavalcate sostenute, momenti più sinfonici ed altri più aggressivi che risultano slegati tra loro e come se non bastasse, ancora una volta un ritornello clean decisamente fastidioso. Ci pensa “Season of the Sea Witch” a riportare il disco sui binari giusti, un pezzo dalle melodie intense e che, al contrario del precedente, riesce a bilanciare perfettamente tutte le varie influenze, risultando uno dei migliori del lotto. Se siete dei nostalgici dei primi lavori dei bambini di Bodom vi basterà un ascolto di questo pezzo per innamorarvene perdutamente. “Layers of Spores” è un pezzo senza infamia e senza lode, un brano di mestiere che si lascia ascoltare ma che non aggiunge nulla di particolarmente interessante rispetto a quanto sentito fino ad ora. Soliti riff da battaglia, solito ritornello melodico.
A chiudere il disco una sorta di suite della durata di 13 minuti tirata inutilmente per le lunghe. Qui il gruppo pecca un po’ di inesperienza forse, fatto sta che le idee sono pochine e vengono dilatate fino alla noia. La prima metà del pezzo è praticamente lo stesso riff in tremolo di stampo black metal che si ripete di continuo, si prosegue poi tra refrain e intermezzi atmosferici in mezzo ai quali trova spazio anche un assolo da guitar-hero di serie B. Decisamente un esperimento che si rivela troppo ambizioso per il quintetto alemanno. In generale va detto che sebbene a livello tecnico non siano presenti sbavature, dal punto di vista solistico la band tende a non strafare, lavorando per sottrazione, a differenza dei loro amati Finlandesi, molto più virtuosi e funambolici. Per quanto riguarda invece la produzione, il lavoro è stato affidato a Charles Greywolf dei Powerwolf che svolge un lavoro impeccabile; mentre l’artwork è opera di Felipe Machado, ormai veterano nel campo delle cover metal.
Un lavoro riuscito a metà questo “The Elders’ Realm” che ci consegna una band non ancora del tutto matura, ma che ha dalla sua attitudine e personalità. Se da una parte è vero che questa amalgama di stili rende il sound dei nostri abbastanza personale, dall’altra andrebbero ridimensionate un poco le divagazioni nei vari generi così da rendere più omogenea la proposta. Gli appassionati di metal estremo potrebbero storcere il naso di fronte all’uso della doppia voce e ad alcuni ritornelli troppo melodici, viceversa la proposta potrebbe risultare troppo estrema per gli amanti del power metal melodico e sinfonico. Inoltre, qualora apprezzaste il sound variegato del gruppo, l’alternarsi di ottimi brani, provvisti di melodie accattivanti e arrangiamenti interessanti, ad altri poco ispirati difficilmente vi invoglierà a riascoltare il disco per intero. Per questa volta i Kambrium hanno voluto darci solamente un assaggio delle loro indubbie capacità senza sforzarsi più di tanto, e per ora ci accontentiamo, ma dal prossimo lavoro è lecito aspettarsi qualcosa di più da questa giovane e promettente band.