Recensione: The Empire
Undicesimo album per i veterani polacchi, cosa dovremmo aggiungere ad un carriera fatta di molte glorie e pochi passi falsi? La storia recente ci ha insegnato che pur cambiando pelle i Vader non hanno deturpato la loro impronta compositiva; Piotr è sempre il capitano della nave con i fidi gregari riconfermati in toto, perche scomodarsi dunque con parole superflue ed un racconto di una storia arcinota? I Vader a prescindere da ciò che sfornanao si rispettano, chi ascolta death metal non può non voler bene alla band e “The Empire” non è altro che un nuovo semplice tassello lungo una discografia, che aconti fatti, non inventa nulla ma continua a regalare soddisfazioni senza compromessi. Già dal titolo e della cover riusciamo a comprendere come questo si rivelerà essere un album diretto e senza fronzoli, un carro armato fatto di death metal old school infarcito dei più classici dgli stilemi, senza mai rinunciare al gusto e alla classe che li contraddistingue da sempre. Il marchio di fabbrica in fin dei conti non si può scalfire così facilmente.
Nato come sempre in sordina, senza i procalmi dei tempi moderni, il nuovo parto è quell’album che continua la recente storia che vede i Vader percorrere quel sentiero intrapreso dalla rivoluzione post “Morbid Reich”, proseguita successivamente con “Tibi et Igni” ma con una senquenza di brani decisamente più tendenti all’heavy death, dunque al death primordiale, piuttosto che ad una traspozione contemporanea del tutto come la prassi determina. Non ci si impiega poco a decifrare la chiave di lettura di “The Empire” bastano le prime tre canzoni, che tolgono ogni dubbio sulla matrice strutturale, sul nocciolo creativo e su quella conferma che ci fa godere a pieno di ogni minuto qui presente. Detto ciò ad ogni modo possiamo dire che hanno messo per una volta ogni tanto le mani al calduccio i nostri, eseguendo il disco “compito” senza lode e senza difetti eclatanti; a loro questo è concesso razionalmente parolando. Bastano le prime tre canzoni come dicevamo per comprendere cosa sono i Vader oggi attraverso ‘Angels of Steel’, ‘Tempest’ e ‘Prayer to The God of War’ (già presente sull’EP precedente “Iron Times”) per avere dinnanzi l’antitsesi del death ultra strutturato e la conferma di come in Europa non servano molti stratagemmi per creare brani semplici ma vincenti. In parole parole: Vader. Up-tempos, quattro quarti e ritmo incalzante con sfumature a-là speed metal che gustano e sanno lasciarsi godere senza prentendere nulla di più. La struttura dei brani è risicata al minimo, pur coadivandosi di una tecnica che nella sua semplicità molti gruppi invidiano da sempre, creando quel marchio di fabbrica che riporta indietro nel tempo, quando album storici come “Back to the Blind” e “De Profundis” piccolo sussidiario di un death dei tempi antichi. La classe non è acqua, siamo sinceri. Se possibile trovare un grande difetto all’interno di “The Empire” è quello di essere prevedibile sulla carta, andando a scrivere riff che tutti ormai consociamo a memoria, senza aggiungeere e togliere nulla alla storia del gruppo. Altre canzoni come ‘No Gravity’, ‘The Army-geddon’ o ‘Parabellum’ sono belle ma fini a se stesse, non apportando nulla al comparto sonoro e discografico della band. Ma che si pretende in fin dei conti dai Vader? A livelo globale la macchina oggi funziona perfettamente e riesce ad amalgamarsi splendidamente, attraverso una coesione di intenti raramente percepibile sugli schermi; la produzione dal canto suo tende a favorire un suono più grezzo e meno compresso che in passato, anche in proporzione al recente trascorso del gruppo, andando a forgiare un back to the future indisicreto ed allo stesso tempo fondamentale. Il processo di degrado sonoro, volto alla pura indottrinizzazzione del comparto strumentale è ad oggi ai suoi massimi livelli, senza mai perdere fascino e astuzia nei movimenti, senza perdere quel marchio prettamente polacco che li lascia distinguere in mezzo mille altri.
“The Empire” è l’undicesimo sigillo ufficiale, l’undicesimo passo verso la conferma di come i Vader siano ancora oggi necessari al mondo intero, per ribadire come non tutta la vecchia scuola è perduta nella polvere del tempo pur non producendo veri e propri capolavori. Un disco semplice, diretto, a tratti prevedibile e senza fornzoli che tende a rimarcare come non siamo nessuno senza la storia che ci ha portato a diventare ciò che siamo oggi. Con il rispetto dovuto, con una invidiabile carriera alle spalle confermiamo, come pur avendo di fronte un lieve passo falso, ai maestri qualcosa è perdonato e concesso. Nessuno è perfetto anche perchè la perfezione vera e propria è quanto di più assurdo e surreale possibile. A dispetto di tutto rispetto incondizionato e chapeau!