Recensione: The Empyrean Equation of the Long Lost Things

Di Roberto Gelmi - 19 Aprile 2024 - 11:41
The Empyrean Equation of the Long Lost Things
88

Non saremo mai abbastanza grati ai Vanden Plas capitanati da Andy Kuntz e dai fratelli Andreas e Stephan Lill. Per la qualità dei loro album, per la dedizione alla musica metal, per la costanza delle uscite e potremmo proseguire nell’elenco… Quello che stupisce nel 2024 è ritrovare una band praticamente inscalfibile, ancora capace di trarre ispirazione e proporre melodie trascinanti e ritmiche potenti. A differenza dell’omologo James LaBrie (Dream Theater), cui spesso viene paragonato, Andy Kuntz mantiene il suo timbro incisivo e il resto della band non trova difetti, inclusa la prova del nuovo tastierista Alessandro Del Vecchio (Edge of Forever, Hardline, Jørn Lande) che sostituisce lo storico Günter Werno.

Il loro undicesimo full-length in carriera si presenta perciò come prodotto ben confezionato: titolo chilometrico e una libellula in copertina, c’è di che attirare nuovi fan che ancora non conoscono la band tedesca. The Empyrean Equation of the Long Lost Things rivela inoltre una tracklist compatta con due brani oltre i dieci minuti e due attorno agli otto, normale routine per i progster di ieri e di oggi.

L’opener coincide con la title-track e le prime note sono di pianoforte. L’avvio è cinematografico e nel giro di due minuti ci ritroviamo a familiarizzare con il tipico sound dei tedeschi: chitarre potenti, riff gustosi e il giusto groove. La sensazione è quella di ricontrare un amico di vecchia data. A metà del terzo minuto assistiamo al primo unisono chitarra-tastiera e la nuova line-up è già promossa per qualità tecnica e affiatamento. Curiosamente la voce di Kuntz subentra solo a metà brano, in pratica la prima traccia in scaletta è una sorta di intro quasi strumentale dalla durata non indifferente.

My Icarian Flight” è il rimo pezzo canonico, se così si può dire. Nell’incipit ricorda vagamente i Nightwish, poi prevale la potenza. I testi sono come da regola Vanden Plas poetici e focalizzati su scelte lessicali ricercate: «I stare as the cyan midnightsun / Flows in the embers of darkness / Her flames burning out / The light of forever is gone / And now she is dying alone». Il ritornello è un tripudio melodico, tra AOR e heavy metal, ma stupisce anche la sezione strumentale a metà brano, vicina alle sonorità dei Dream Theater, con Stephan Lill shredder sugli scudi. Un’ottima hit, niente da aggiungere. Ha un bel tiro anche la seguente “Sanctimonarium”, pezzo bilanciato e dalle molte sfaccettature; Alessandro Del Vecchio propone qualche synth originale e la potenza non latita. La bravura dei Vanden Plas è riuscire a suscitare un senso di nostalgia per il grande prog metal che fu e qui ce n’è la quintessenza.

I ritmi serrati di “The Sacrilegious Mind Machine” ricordano per certi versi il capolavoro Christ 0, ma c’è spazio anche per un break centrale, seguito da una sezione ritmica che non sfigurerebbe in un disco dei Gamma Ray, salvo arricchirsi di un hammond gustoso nell’immediato prosieguo. “They Call Me God” è la ballad immancabile. I Vanden Plas hanno regalato gemme in passato quando i bpm rallentano, qui continua la serie. Prima parte in pianissimo e seconda parte potente e catartica, cosa chiedere di meglio? L’album si chiude con i quindici minuti dell’epica “March of the Saints”, contraddistinta da un main theme di chitarra a dir poco elettrizzante e ipnotico. In veste di suite finale regala un viaggio sonoro da brividi, divisa in più sezioni, con continui cambi di velocità e atmosfere, rimandi interni e una memorabile coda in crescendo.

The Empyrean Equation of the Long Lost Things è uno dei migliori dischi dei Vanden Plas di sempre. Musica “vivida” e potente. La band ormai sa come proporre l’ennesimo concept e lo fa in modo magistrale, senza sbavature o eccessi. Ascolto caldamente consigliato, non fateevlo sfuggire.

 

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