Recensione: The End Of The Hour

Di Alberto Fittarelli - 15 Gennaio 2008 - 0:00
The End Of The Hour

La “band melodica di Corpsegrinder” torna alla carica con un secondo album, decisamente più organico e riuscito del predecessore Promises In Blood: il difetto del debut era quello di unire un tappeto melodic death, anche se variegato da varie influenze, al vocione gutturale che ha reso noto George Fisher in tutto il mondo grazie alla sua militanza coi Cannibal Corpse, ma oggi, probabilmente anche ad una maturazione ottenuta da ore di sala prove, è la musica ad essersi adattata al timbro di Corpsegrinder.

Era oggettivamente difficile, del resto, aspettarsi di sentire il contrario, e quindi come giudicare negativamente il nuovo The End Of The Hour? Più brutale (ma prendete il termine con beneficio d’inventario), massiccio anche in fase di produzione, con una batteria in primo piano e chitarre piene, robuste, l’album si dipana secondo una struttura tipica del death americano ma lasciandosi andare spesso ad assoli o fraseggi pregevolissimi: la title-track ne è un esempio, col suo attacco armonico ed intricato, ma la sensazione, ancora una volta, è che la voce di Fisher sia parzialmente fuori posto, almeno finché non intervengono le backing vocals a riequilibrare il tutto. I pezzi sono infatti basati su schemi che vanno spesso a pescare nella melodia, e qui è impossibile non citare la Scandinavia, anche se va detto che il riffing di base è, come detto, saldamente US; e il growl/screaming di Georgino a volte si impantana, sembra fermarsi a chiedersi il motivo della sua presenza.

Ottimo il lavoro della sezione ritmica, con un basso mai immobile sulla stessa nota, ma il disco non decolla mai come dovrebbe, fermandosi ad una condizione di ‘vorrei-ma-non-posso’ che mantiene i Paths Of Possession ad una spanna dallo sfondare davvero, e non essere semplicemente trascinati dal nome del proprio cantante: danno non da poco per un gruppo dalle indubbie ambizioni, supportato da una casa discografica che, come le altre potenti indie, nega possibilità a gruppi più validi ma meno “di mercato”, dando spazio all’ennesimo gruppo col nome d’impatto. Comprensibile o no, inutile aspettarsi troppo dai Paths Of Possession, per ora: secondo me la Metal Blade lo sa bene, ma lo sanno anche gli ascoltatori.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Memory Burn
2. The ancient law
3. I am forever
4. In offering of spite
5. Pushing through the pass
6. Poisoned promise land
7. Ash is falling rain
8. The end of the hour
9. As sanities split
10. Engulfing the pure