Recensione: The equal spirit
I nostri avi dicevano: “ars gratia artis” e mai detto fu più appropriato se si chiamano in causa questi cinque giapponesi che dopo un vergognoso debutto intitolato “the soul that never dies” oggi ritornano sul mercato con questo “the equal spirit” cercando di conquistarsi una fetta di consensi nel Vecchio Mondo. I Seraphim abbandonano quasi completamente le venature fortemente gotiche del debutto, fortunatamente vengono limitate al minimo le parti cantate in growling, buttandosi anima e corpo nel power melodico coronato da vocals femminili eteree e leggiadre che rimandano completamente ai finnici Nightwish. Come spesso accade nella società nipponica, anche questo gruppo non è in grado di muoversi secondo una direzione compositiva propria e indipendente limitandosi a ricercare la scia dei già citati fillandesi, ma con un enorme handicap di capacità artisitche che si evince immediatamente dopo aver inserito questo platter nello stereo. Il disco in questione è veramente lunghissimo, infinito, ben un’ora e un quarto di pezzi allungati eccessivamente nella morbosa e fallimentare ricerca di melodie vincenti e refrain azzeccati che immancabilmente latitano, non solo, i Seraphim si dilungano in fraseggi tecnici autocelebrativi quanto inutili che snaturano i brani e distraggono ulteriormente l’attenzione dell’ascoltatore. La prima “deep” dimostra una certa perizia tecnica da parte dei giapponesi in questione, bello il refrain del ritornello, ma pessima l’idea di inserire parti simil progressive che annoiano e allungano l’ascolto di un brano così reso inoffensivo, la composizione è frammentaria, piena di incoerenze ritmiche e di melodie poco più che telefoniche, insomma non ci siamo. Assolutamente insopportabili “pride of twilight” e “my heart is dying” tentano di ricreare il fascino di brani come “sacrament of wilderness” o “stargazer” ma non riescono a decollare in nessun caso, appiattite da continui cambi ritmici impropri che spezzano le melodie, cancellando quel poco di buono che si era riuscito a sentire. Il fondo lo tocchiamo solo con i brani più lunghi, intorno ai dieci minuti, come “last memory” o “the equal spirit” che vogliono porsi come composizioni mature e coraggiose, nella costruzione “Suite”, ma che dopo pochi passaggi tentano l’ascoltatore di premere il tasto Stop per porre fine alla tortura, non posso fare altro che constatare la reale funzione di questi brani, ossia dei filler inutili e lunghissimi. Tralascio il lento di turno “song of farewell” che funziona bene solo per chi soffre di gravi forme di insonia, vi garantisco che arrivare alla fine di questo disco è per me un reale sollievo, non posso esimermi dal constatare come i Seraphim pecchino totalmente di talento compositivo, e senso artistico. Mi chiedo come si possa arrivare a pubblicare due cd per un gruppo tanto incapace, a voi lettori è indirizzato il mio appello, tenetevi ben lontani da questi cinque musicisti provenineti dalla Terra del Sol Levante perchè si tratta di una band che a mio avviso tenta solo di accapararsi qualche incauto acquisto da chi è sedotto dalle vocals femminili abbinate al power metal. Ai Seraphim la mia speranza di non dovermi più trovare al cospetto di un loro disco, pessimi.