Recensione: The Era of Precarity
Tornando indietro con la memoria a qualche mese fa sono due i punti fermi che si ripresentano con maggior forza: il lockdown (confinamento, dannata anglofonia) e il conseguente aumento di tempo libero a disposizione. Passare più tempo con la famiglia, leggere un buon libro, godere di qualche bel film, allenarsi sul terrazzo di casa sparando a volumi imbarazzanti l’ultimo acquisto di Metal estremo: l’alternanza di queste piacevoli attività ha contribuito a rendere sopportabile la clausura imposta. Purtroppo è venuto a mancare il sacro rito settimanale della visita al negozio di dischi usati, una delle più efficaci valvole di sfogo per un metallaro-ormai-integrato since 1995. Come sopperire a tale gravosa assenza, mantenendo sempre bassa la giacenza media nel conto in banca? Approfittando delle offerte che siti web e case discografiche hanno prontamente messo in campo per non vedersi ridurre gli introiti a causa della pandemia. Ed è così che, in una tranquilla notte primaverile, mi trovo davanti al catalogo online della Black Lion Records. Hanno i Defiatory di ‘Hades Rising’ nella loro scuderia; tanto basta per farmi sfilare d’istinto dal portafogli la carta prepagata. La mia attenzione viene attirata da una copertina di album insolita. Raffigura un occhio umano intrappolato in un mondo in disfacimento, impegnato a fissare, da dietro al buco di una serratura, un paesaggio naturale azzurro, verde e ben illuminato, ovviamente impossibile da raggiungere. Mi colpisce anche il titolo dell’album, uscito originariamente per la Saarni Records nel 2016, pronto ad affermare profeticamente quella che in pieno lockdown diventa una fastidiosa certezza: sto parlando di ‘The Era Of Precarity’, penultimo prodotto dei Re-Armed, band finlandese non proprio di primo pelo. Il loro sito web recita Re-Armed since 2001, età che mi fa sperare di non trovare troppe parti di clean vocals buttate lì esclusivamente per spezzare il ritmo. Il gruppo è dedito a un mix di influenze melodic death metal e thrash, come appare subito chiaro ascoltando il primo brano completo del disco, ‘Lullaby Of Obedience’, un’apprezzabile mazzata messa poco saggiamente in seconda posizione. Il primo brano dell’album è infatti la francamente evitabile intro ‘Novus Ordo Seclorum’, caratterizzata da un arpeggio poco ispirato, che in qualche modo sa di già sentito, e da un riff leggermente stantio. Tanto per approfondire, a qualcuno sembrerà di aver già visto questo motto latino: appare, insieme all’altro motto Annuit Cœptis, sul rovescio dello stemma degli Stati Uniti d’America. Questa locuzione, al momento del suo inserimento nello stemma dei neonati USA, celebrava la nascita di una nuova epoca carica di ottimismo; nel 2016 viene utilizzata, in modo decisamente più critico, per evidenziare l’inabissamento della società in un’era in cui la precarietà rappresenta la norma. Si è già capito il tema principale che sta alla base dei testi, a metà tra scenari distopici e generica denuncia sociale. Curiosità: in mancanza di una vera e propria title-track è il brano ‘Lullaby Of Obedience’ a farne le veci, citando il titolo dell’album nel ritornello, melodico e catchy, che funge da contraltare alla gradevole aggressività del brano:
We are living in The Era of Precarity
Forced to kneel Obey and apologize for our existence
Nonostante la limitata orginalità i testi dell’album denotano comunque una certa cura compositiva e ben si adattano agli assalti sonori sferrati dal quintetto. La terza traccia, ‘Through The Barricades’, colpisce con un furioso blast beat di breve durata posto nella prima manciata di secondi, che senza un’apparente intenzionalità si ripeterà, sempre per brevi durate, per un paio di volte verso la fine del brano. Si percepisce a questo punto una probabile volontà di mettere molta carne al fuoco. Blast beat, tempi più cadenzati, accelerazioni, rallentamenti, ancora un assaggio di blast beat, addirittura in chiusura del brano un rapido arpeggio di banjo…il tutto in un pezzo della durata di poco meno di 4 minuti. Si avverte la sensazione che qui si voglia accontentare un po’ tutti, col rischio di sacrificare l’equilibrio tra la varie parti del brano. Questa sensazione si presenterà più volte andando avanti con l’ascolto del disco: ne sono esempi ‘Years Of Decay’, ‘Evolve Cycle’ e ‘Cursed Beyond Belief’, rispettivamente sesta, ottava e decima traccia, anch’esse in bilico precario tra le molte anime che i Re-Armed presentano in questo loro terzo album. Il lettore curioso sarà felice di apprendere dell’esistenza su YouTube di un video rigorosamente non professionale che mostra un’esecuzione live di ‘Through The Barricades’, registrata in quel di Tokyo. Attenzione a precisare che state cercando i Re-Armed o finirete per sorbirvi gli Spandau Ballet e la loro omonima, tristemente famosa canzone del 1986, della quale, per fortuna, i Re-Armed citano esclusivamente il titolo. Io non ho resistito e ho cliccato su entrambe: l’accostamento si è rivelato esilarante e memorabile. Rimuovo lo stato di trance goliardica, indotto dagli abiti oversize con spalline integrate sfoggiati dagli Spandau, e torno ai nostri Re-Armed, proseguendo con ‘Riot Act’ e ‘Ivory Towers’. Siamo davanti a due brani ben strutturati e scorrevoli, grazie a una forma canzone sempre variegata negli stili ma nel complesso più equilibrata, soprattutto in ‘Riot Act’. Mi è impossibile ignorare un’altra corrispondenza nel titolo: il primo collegamento che mi viene in mente porta a un brano degli Skid Row in ‘Slave to The Grind’, ‘Riot Act’ appunto, ma potremmo andare a disturbare perfino i Pearl Jam e il loro album del 2002, intitolato proprio ‘Riot Act’. Insisto su queste corrispondenze 1) perché ne ho rintracciate parecchie 2) per la necessità di trovare qualche minimo comun denominatore che mi fornisca una direzione verso cui procedere: un album variegato come questo rende difficile mettere ordine nelle tante sensazioni che è in grado di produrre. Le citazioni nei titoli sono tali da sembrare inopportuno parlare di semplici coincidenze, basti vedere la successiva ‘Years Of Decay’, titolo di “overkilliana” memoria. Si arriva qui a uno dei punti deboli dell’album, un brano piuttosto lento che si trascina stancamente senza particolari impennate; il pezzo in cui i Nostri osano di meno è quello più fiacco, nonostante la citazione altisonante. L’intenzione era probabilmente piazzare un brano tranquillo prima di ‘Three Headed Beast’, una furibonda sfuriata da un minuto e poco più che sembra voler strizzare l’occhio al grindcore, considerando la struttura del pezzo e la durata ridotta. Altra canzone, altra citazione: ‘The Aftermath’. Non posso farci niente, il richiamo a uno dei pezzi di ‘The X Factor’ degli Iron Maiden è fortissimo, pur trovandomi davanti a una canzone totalmente differente e intrigante nell’incalzare ritmico “zoppicante” delle strofe. ‘Purification’ aggiusta ulteriormente il tiro, alzando il tasso di BPM in quello che probabilmente è il brano più violento e senza compromessi di tutto il disco, eccezion fatta per la tiratissima ‘Three Headed Beast’ di cui sopra. L’arpeggio finale di ‘Purification’ anticipa il tappeto sonoro dei ritornelli della successiva e ultima ‘The Hunt Is On’, brano dalla costruzione più tradizionale, che alterna parti veloci a momenti più riflessivi in modo maggiormente coerente rispetto ad alcuni pezzi precedenti.
Arrivati alla fine del disco si rimane soddisfatti, grazie all’indubbio fascino dei brani più equilibrati e ben riusciti e al livello piuttosto alto della produzione sonora. Le linee degli strumenti sono tendenzialmente riconoscibili, fatta eccezione per il basso che rimane spesso un po’ in disparte. Il cantato, rigorosamente in Inglese, è sempre abbastanza comprensibile sia in scream che in growl, come accade in molte produzioni di melodeath scandinavo. L’aspetto che colpisce maggiormente è in ogni modo l’estrema varietà degli stili presente nell’album. Nella pagina di Bandcamp dedicata all’album leggiamo, cito testualmente: “The songs contain aggressive sound of Death/Thrash metal and groovy Death Metal while adding new influences; crushing Stoner Rock, fast and brutal Black Metal and even classic Heavy Metal!” (Le canzoni contengono sonorità aggressive tipiche del Death/Thrash metal e del Death Metal più groovy, con l’integrazione di nuove influenze: devastante Stoner Rock, veloce e brutale Black Metal e addirittura Heavy Metal classico!) Prendo atto. Sicuramente il tema della precarietà che permea il disco si concretizza in questo desiderio di voler mettere nel calderone la più grande varietà possibile di elementi. Da questo punto di vista pare che i Re-Armed abbiano voluto fornirci un riassunto di ciò che il Metal è stato per loro fino al momento in cui hanno iniziato a scrivere ‘The Era Of Precarity’, partendo dalle più o meno innocenti e (in)volontarie citazioni musicali fino alla mescolanza di tutte le influenze ricevute. Talvolta i risultati sono notevoli (‘Lullaby Of Obedience’, ‘Riot Act’, ‘Three Headed Beast’, ‘Purification’), talvolta meno (‘Through The Barricades’, ‘Years Of Decay’, ‘Evolve Cycle’, ‘Cursed Beyond Belief’); ricordiamoci che, in musica e non solo, gli elementi fondanti del Futuro sono la conoscenza e la rielaborazione critica del Passato, e a quanto pare, fortunatamente, i Re-Armed lo hanno capito piuttosto bene. Buon ascolto!