Recensione: The Eternal Idol
The Eternal Idol prende forma durante il periodo più buio dell’intricata storia del sabba nero. Il disastroso tour di supporto a Seventh Star minò nuovamente la credibilità del nome Black Sabbath. Le precarie condizioni fisiche di Glenn Hughes (subentrato a Ian Gillan) permisero alla band di esibirsi solo per una manciata di date caratterizzate, a detta di molti, dalla più totale incapacità di esprimersi su livelli quanto meno accettabili, notizia parzialmente smentita dal sottoscritto in quanto possessore di uno splendido bootleg dove l’ex Purple è autore di una prova degna del suo leggendario nome personalizzando con la sua magica voce canzoni immortali come nella superba versione di “Heaven And Hell”. Per il prosieguo del tour venne chiamato Ray Gillan allora cantante dei Badlands, che in un primo momento era ritenuto da molti come il più serio candidato a divenire il quinto cantante della storia dei Sabbath. Contrariamente a quanto si credeva, R.Gillan viene estromesso subito dopo la fine del tour facendo rimanere per la seconda volta il solo Tony Iommi unico membro originale del gruppo.
Al baffuto chitarrista l’idea di mettere la parola fine alla storia dei Balck Sabbath sembra essere l’ultima delle soluzioni, d’altronde il suo carattere deciso e la consapevolezza che in un modo o nell’altro il sabba nero fosse una sua creatura, resa famosa principalmente dai suoi riff e dal suo modo di intendere la musica, comunque ottima ed originale indipendentemente da chi ci fosse dietro il microfono, gli diede la forza di andare avanti, non arrendendosi davanti alle numerose difficoltà, consapevole che l’impresa di riuscire a trovare un cantante che riuscisse ad essere all’altezza dei suoi predecessori era veramente ardua.
Contrariamente a quanto avvenne per il reclutamento dei precedenti singer, questa volta Iommi sorprende tutti chiamando lo sconosciuto Tony Martin già cantante degli Alliance, autori solo di qualche esibizione live ma mai arrivato al debutto. Posso affermare senza timor di smentita che questo umilissimo singer ha contribuito in maniera determinante al rilancio del nome Black Sabbath, rilancio che comunque non avviene con questo The Eternal Idol, ma sicuramente getta le basi per quello che io considero il disco più sottovalutato della storia del Sabbath e cioè il successivo Headless Cross. Se il precedente Seventh Star poteva essere definito un classico disco metal con al suo interno numerose sfumature Hard Rock ed in qualche caso addirittura blues, con The Eternal Idol si torna prepotentemente a parlare di heavy metal solido e quadrato con qualche caso come la title track dove si possono sentire addirittura alcuni richiami alla storica “Black Sabbath” .
Il disco manco a dirlo è costruito attorno ai granitici riff di Iommi ma questa è volta la stupenda voce di Martin che impreziosisce il classico lavoro del riff maker per eccellenza con una prestazione esemplare dove in alcuni casi potrebbe ricordare quella dell’inarrivabile R.J.Dio.
Il lavoro è aperto da un arpeggio elettrico che anticipa il riff tagliente di Shining. L’entrata di Martin sembra descrivere un racconto del terrore mentre l’indovinatissimo ritornello vi si stamperà nella testa al primo ascolto. Per “Shining” fu girato anche un bellissimo video dalle tinte oscure che potete reperire nella seconda parte di The Story Of B.S.. La palma di miglior canzone spetta sicuramente alla title track, spettacolare esempio di atmosfera infernale ricreata in musica. Caratterizzata dall’ennesimo riff – mammuth dall’andatura doom, Eternal Idol va segnalata soprattutto per la tenebrosa prestazione vocale di Martin che riesce nella difficilissima impresa di non far rimpiangere gli ex singer sabbathiani. Il disco alterna schegge d’acciaio a pezzi più cadenzati come Nightmare e la bellissima Ancient Warrior arricchita da una superlativa prova vocale del nuovo entrato. Heavy Metal puro venato di epico si respira durante l’esecuzione dall’altrettanto valida Glory Ride piccola gemma dimenticata nell’ormai foltissima discografia della band. Ottimo l’imponente riff portante che si placa con l’arrivo di un cantato simil narrato che riprende lo schema compositivo di Heaven & Hell accelerandone l’accompagnamento. Born To Loose e Lost Forever rappresentano gli episodi più classicamente metallici, caratterizzate entrambe da una struttura abbastanza semplice incentrata su di un riffing lineare ma tagliente come un rasoio.
Di certo questo platter non ha segnato la storia come il primo periodo del sabba né tanto meno è accostabile a capolavori come Heaven & Hell o a dischi stupendi come Mob Rules ed Headless Cross, The Eternal Idol va letto semplicemente come un disco di Heavy Metal di alta qualità che a distanza di diciassette anni dalla sua uscita non teme confronti con il 90% delle uscite metal odierne.