Recensione: The Ever-Rest
Con trent’anni di carriera alle spalle, i Final Cry possono essere considerati veterani dell’underground teutonico. Dopo un paio di album dai tratti naif, col terzo Wolves Among Sheep (2002) hanno iniziato a mettere a fuoco la loro proposta, creando un ponte tra il classico thrash degli eighties e il death melodico scandinavo del decennio successivo.
Maturazione graduale che giunge al sesto full-leght con The Ever-Rest, in cui fa il suo esordio il cantante Kai Wilhelm, all’interno di una formazione oramai ben rodata. Ci troviamo di fronte a un power-thrash di marca tedesca (una specie di Destruction in versione melodica) che sposa le atmosfere della scuola di Göteborg (At The Gates e compagnia).
L’attenzione per le melodie caratterizza il songwriting dei Final Cry, musicisti d’esperienza che sembrano possedere una certa conoscenza della materia in esame. Impatto e potenza costituiscono il marchio di fabbrica delle varie composizioni, con ritmiche aggressive e un riffing che affonda le radici nel thrash.
L’intro giullaresco Brotherhood of the Rope sfocia in un’esplosione metallica che apre le porte alla tiratissima title-track, fatta di trascinanti riff di ascendenza scandinava a creare un mood epico, in cui emerge l’influenza del power europeo nei refrain. La batteria assume pattern tellurici e la prova di Wilhelm si attesta su uno screaming ruvido che scivola nel growl (vedi alla “voce” Tomas “Tompa” Lindberg del dizionario metal).
La prima parte dell’album segue questa impostazione, con pezzi come Down the Icefall, The Beckoning Silence e Seven Summits, dall’andamento sì prevedibile ma decisamente efficaci, merito di trame di chitarra coinvolgenti che sostengono la struttura di ogni traccia.
Ascending the Avalanche è maggiormente cadenzata, con qualche ingenuità che la avvicina al death epico di marca Amon Amarth. Derivazioni “vichinghe” rilevabili anche nelle successive composizioni (sebbene il concept dell’album ci conduca alle pendici dell’Everest), fino ad arrivare a Words Unspoken, reincisione del brano presente nell’omonimo demo del 1994, qui attualizzato al presente della formazione tedesca.
Unire due “sonorità”, in questo caso thrash e Göteborg sound, implica il rischio di “scontentare” i fans di entrambi gli “schieramenti”, soprattutto quando tutto sembra ormai già stato detto. In The Ever-Rest per fortuna si mantiene il giusto equilibrio, senza miracoli in sede di scrittura, grazie a passione e competenza. A volte i brani pendono più da un lato, a volte dall’altro, e la componente thrash risulta lievemente più convincente, pur nella sua totale aderenza ai classici del genere.
Le chitarre di Eiko Truckenbrodt e Burghardt Sonnenburg (non a caso presenti fin dagli esordi, assieme alla bassista Sonja Sonnenburg) spadroneggiano nei fraseggi e nelle parti soliste e costituiscono il punto di forza di un album che, al netto di passaggi già sentiti, omaggia con onestà il passato da cui proviene.