Recensione: The Expedition
Con l’uscita del fortunato “The Fourt Legacy” nel Gennaio 2000, i Kamelot partirono in un tour con i redivivi (ma purtroppo x breve tempo) Crimson Glory, scelta forse non casuale visto che Youngblood inizialmente s’ispirava (anche se egli dissente su queste influenze, sopratutto tra il vocalist Mark Vanderbilt e Midnight), alla leggendaria formazione mascherata. La turnè portò i 4 cavalieri, seppur in luoghi piccoli, in giro per alcuni Paesi dell’Europa, saziando così i fan impazienti, e regalando grandi esibizioni e sopratutto, un contatto con il pubblico di tutto rispetto.
Dal “New Allengiance Tour 2000” la band estrapolerà questo primo Live album, che oltre a testimoniare la forza dirompente e l’energia che il quartetto dette sul palco, sottolinea le capacità del gruppo di distanziarsi dai soliti clichè iper-clonati, della soffocata scena Power.
Devo ammettere che questo lavoro, dalla buona produzione e dal booklet intrigante, possiede due grosse pecche: la prima è il pubblico, non so se sia dovuto a questioni di missaggio, ma sembra che i fan delle due location scelte (Germania e Grecia) siano distanti parecchi metri dal palco, mentre mi ricordavo che nell’unica data italiana in quel di Rezzato, i pochi presenti (300 c.a.), si fecero sentire molto.
L’altra lacuna è la scaletta, infatti mancano alcune song suonate dal vivo (ben 3 ovvero: “Alexandria”, “The Inquisitor” e “Silent Goddness”). Questo difettuccio è in parte colmato dall’aggiunta di 3 pezzi da studio.
Dopo l’intro cinematografico (tratto dal film “The Rock”) la band parte in quinta con la power-speed “Until Kingdome Come”, il quintetto è perfetto, con la solida base ritimica di Grillo alla batteria, e Barry al basso, che tessono il tappetto su cui il leader e unico chitarrista, Youngblood, si distreggia con naturalezza fra ritmiche e assoli.
Sono il vocalist Roy Khan (che fu il frontman dei mitici, ma criminalmente sottovalutati, Conception) con la sua timbrica calda e piena di feeling, opposto alle classiche sirene teutoniche e, il turnista-session Gunter Wernor (tastierista dei Vanden Plas e di tanti altri progetti), che spiccano su tutti donando quel toccò in più che contradistingue i Kamelot dai soliti nomi del Power.
La scaletta è incentrata sopratutto sullla quarta release, infatti quasi tutti i brani provengano da “TFL”, ma con la successiva “The Expedition” (presa da “Siege Perilous” primo album con Roy Khan alla voce), song articolata e atmosferica, c’è il primo tuffo nel passato; peccato che saranno solo tre i bani presi dagli album precedenti. Ma non c’è un attimo di tregua, così ecco l’epica ed emozionante “The Shadow of Uther”, uno di quei pezzi da favola dell’ottimo “TFL”; Roy Khan è sublime, con la chitarra di Youngblood che macina riff su riff sino a sfociare nelle melodie celtiche; in questo pezzo in particolare, si sente la mancanza della componente umana del pubblico, si ha quasi l’impressione che ci fossero 4 gatti sotto le transenne… peccato.
“Millennium” estratta ancora da “Siege Perilous” viene introdotta da un botta risposta fra Youngblood e Wernor, per poi esplodere nella sua forza speed, con Grillo a fare la parte del leone, mentre Youngblood e Wernor impreziosiscono la song con i loro strumenti.
Sorprendente è invece la ballad A Sailorman’s Hymn, che sull’album era un pezzo acustico e sognante, ma on stage viene riletta in chiave più elettrica, donando ancor più magia e pathos.
Dopo questo momento tranquillo ecco che arriva la dirompente “The Fourth Legacy”, un concentrato di forza e potenza, il quintetto dà sfoggio della bravura live e perizia tecnica, oltre a tanto carisma. L’enigmatica “Call of the Sea” (estratta dal primo album “Eternity”), brano affascinante nella sua struttura, ci accompagna verso la fine, infatti ecco introdotta dalla strumentale “Desert Reign”, “The Nights of Arabia”, quello che considero il pezzo più bello scritto dai Kamelot; aggiungo che dal vivo il brano non perde nulla rispetto la studio-version.
Archiviata la sezione “Live” ecco i tre brani “quasi” inediti: la prima è la strumentale “We Three Kings”, con cui, nella rilettura di un famoso motivo classico, i Kamelot si avvicinano come stile ai Savatage più orchestrali.
Il secondo brano è la ballad “One Day”, originariamente bonus track giapponese di “Siege Perilous”, con un Khan da brivido accompagnato dalla vellutata chitarra acustica di Youngblood.
Ultimo pezzo è invece la rilettura con la nuova line-up di “We Are Not Separate”, estrapolata dal secondo album “Dominion”: la track acquista nuovo fascino e bellezza, con Khan che non fa rimpiangere Vanderbit anzi… dona un magico feeling; peccato però che non sia stata eseguita dal vivo, arrichendo così la scaletta del Live, una grave mancanza per un gioiellino del genere perfetto per la dimensione “on stage”.
Concludendo questo Live oltre ad essere obbligatorio per ogni fan dei 4 Cavaleri, è anche un ottimo mezzo per far conoscere, per chi ancora non avuto l’onore, le grandi qualità di questa formazione.
Line-up:
Roy Khan: vocals
Thomas Youngblood: guitars and backing vocals
Glenn Barry: bass
Casey Grillo: drums
Gunter Wernor: session/keyboards
Track-list:
1 Until kingdome Come
2 Expedition
3 The Shadow of Uther
4 Millenium
5 A Sailorman’s Hymn
6 The Fourth Legacy
7 Call of the Sea
8 Desert Reign/Nights of the Arabia
bonus tracka:
1 We Three Kings
2 One Day
3 We Are Not Separate