Recensione: The Extra Dimensional Wound

Di Daniele D'Adamo - 10 Giugno 2010 - 0:00
The Extra Dimensional Wound
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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69

Lightning Swords Of Death, cioè quel che non ti aspetti.
Provenienti dalla ridente e soleggiata California, il quartetto ne oscura la luce con un furioso black metal «made in Norway», in antitesi con la credenza che le etnie dimoranti nei climi temperati siano più gioviali e socievoli di quelle installatesi più a Nord.

“The Extra Dimensional Wound” è il secondo atto della loro carriera, strisciante sin dall’inizio nell’underground più buio, che non credo sarà abbandonato nonostante la sussistenza di contratto con una major discografica. Se l’album stesso è la premessa a una futura, degna visibilità internazionale, difficile comunque ipotizzarne un ammorbidimento dell’impatto sonoro, ferocemente primordiale nell’aggressione e devastante per l’inerente compressione acustica. Non ci sono ornamenti nella mazza ferrata che, continuamente, sibila anzi soffia come un tornado nell’atmosfera: il black sviscerato dal combo è dannatamente raw. Diretto, immediato, esagerato a tratti; una bordata di cannone sulla schiena, insomma.
Il muro di suono assemblato dai Nostri si erge ai limiti della vallata entro cui brulicano le band che propugnano il verbo dei primi Bathory; quasi a difendere la verginità della forma primigenia del genere nero. La compattezza dei musicisti (compreso la voce) è ad altissimo peso specifico: tutti, in ugual modo, concorrono ad addensare il suono. Lo screaming bestiale di Farron “Autarch” Loathing, il guitarwork malato e titanico di Jeremy “Roskva” Stramaglio e l’imponente sezione ritmica, che stordisce a causa del folle, sinergico binomio del rombo prodotto dal basso di Menno Verbaten e dalle cascate di blast-beats alimentate incessantemente da M. Vega.
Credo sia stato difficile, per i tecnici del suono, riuscire a contenere la debordante energia prodotta dall’insieme prima, e a canalizzarla, poi, in qualcosa di udibile. In certi momenti il caos (quello «buono», quello cioè consapevole, voluto) prende il sopravvento, ma malgrado ciò la bussola continua a mostrare la giusta direzione. Segno, a parer mio, di una buona personalità, mostrata con consistenza e continuità.
Forse condizionati dal conterraneo Xasthur, il mood del disco è cupo, a tratti agghiacciante, spesso incline al nichilismo e alla misantropia. Quasi – anzi, probabilmente – come forma di rifiuto dei falsi luccichii e delle effimere mode di Los Angeles.

Lasciando da parte le ipotesi e concentrandosi sui fatti, “The Extra Dimensional Wound” fa capire al volo di che pasta siano fatti i Lightning Swords Of Death. Dopo un breve incipit di riscaldamento, il sound piomba nel delirio più assoluto, regalando quelle irripetibili sensazioni di trance primordiale da overdose (solo musicale, beninteso) che, forse, soltanto il raw black metal riesce ancora a generare nella mente di chi ascolta. “Nihilistic Stench” ci infila definitivamente sul capo la cappa nera della farneticazione più assoluta, evidenziata ancor dal contrasto con gli improvvisi «rallentamenti» (sic!) del BPM, necessari a dar risalto alle folli linee vocali di Autarch e al ringhioso abbaiare dell’ascia di Menno. “Invoke The Desolate One” è un altro viaggio nei labirinti irrisolvibili dell’animo umano, nella parte in cui non filtra nemmeno un fotone. Incontenibile il marcio rifferama di Roskva, che non concede nulla all’estetica evitando accuratamente di accennare (inutili?) parti solistiche. Il sulfureo dark ambient di “Zwartgallig” raggela per un attimo i bollenti spiriti del combo, che poi si rituffa nell’infernale Maelström di fuoco. E così sino alla conclusiva, lunga “Paths To Chaos”, pregna di furia e devastazione (ma anche d’inquietanti effetti) come, del resto, tutto il lavoro.

Nessuna pietà, nessun compromesso, nessun prigioniero: i Lightning Swords Of Death sferrano con “The Extra Dimensional Wound” uno dei più violenti attacchi fonici del momento. Un disco che pare essere un’arma letale anche per i più accaniti sostenitori dell’ortodossia black. Avendo favorito questo specifico aspetto riguardo al proprio sound, i californiani non hanno evidentemente perso tempo né per elaborare uno stile ormai un po’ datato, né per raffinare un songwriting grezzo e minimale. Ottimo per scatenare il putiferio in camera vostra, scarso per mostrare la possibilità di evoluzione del raw black metal.

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Track-list:
1. The Extra Dimensional Wound 6:12
2. Nihilistic Stench 3:32
3. Invoke The Desolate One 4:15
4. Zwartgallig 2:03
5. Damnation Pentastrike 6:28
6. Venter Of The Black Beast 5:53
7. Vorticating Into Scars 3:55
8. Paths To Chaos 11:49

Line-up:
Farron “Autarch” Loathing – Vocals
Jeremy “Roskva” Stramaglio – Guitars
Menno Verbaten – Bass
M. Vega – Drums

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