Recensione: The fair bitch project
“Heavy Metal like a kick in your face” ecco come Nikki Sixx usava definire la musica dei suoi Motley Crue agli albori dei mitici eighties, quando album della caratura di “Too fast for love” e “Shout at the devil” vendevano vagonate di copie ed il Sunset Boulevard era lastricato di strascichi e pailletes. Ne è passato di tempo, ed anche il music biz internazionale è stato più volte stravolto da cambiamenti, a volte persino drastici che, nel bene o nel male, hanno segnato la fine di un’era immortale che resterà sempre nei cuori di chi, come il sottoscritto e pochi altri, l’ha vissuta intensamente sulla propria pelle.
Ed è anche per questo che fa sempre piacere vedere che ci sono ancora band che continuano a tenere alto il vessillo di un genere musicale che, nonostante le mode imperanti, continua e continuerà a regalare forti emozioni a chi le saprà carpire. Tutto questo giro di paroloni solo per farvi capire che il disco d’esordio dei norvegesi Absolute Steel, è uno di quei pochi esempi in cui perseveranza, energia e gogliardìa convergono in un’unica direzione, dando vita ad una scarica elettrizzante di umori e sensazioni che, non per niente, rimandano alle atmosfere ludiche caratteristiche di molte bands in azione alcuni lustri or sono.
Lontani anni luce dai suoni simil garage di band super blasonate come Hellocopters e Turbo Negro, gli Absolute Steel sembrano piuttosto rifarsi all’hard’n’heavy dei primi Motley Crue, come dicevamo poc’anzi, al quale di volta in volta i nostri aggiungono una spruzzatina di class metal a stelle e strisce, Keel e Dokken in primis, e una dose di sano e conturbante athletic rock di derivazione Raven naturalmente. Un cocktail sonoro davvero esplosivo che si dipana lungo il corso delle dodici esilaranti track che, con la loro spinta creativa e la loro verve sonora, sono in grado di fare resuscitare anche i morti, credetemi, non per niente i nostri tre amici amano definire la loro musica “party metal”.
Cori tanto catchy da essere cantati dopo il primo ascolto, un numero impressionante di riffs semplici quanto spacca ossa, testi imperniati su tematiche a fondo sessisista,beh titolo e copertina parlano da sole, e una sana dose di crazy attitude, fanno degli Asolute Steel una band da amare intensamente od odiare a morte, non ci sono alternative.
Le vostre giornate grigie si tingeranno di colori sgargianti sotto l’incedere di brani come le scatenate “Leatherbride” o “Crazy horse”, o la ruffiana “Time to be heard, un vero inno generazionale,song che, se supportate a dovere, potrebbero mietere un numero impressionante di proseliti, e quando inserite il cd nel lettore ricordate di alzare il volume, anche perché la musica dei tre nordici rende soltanto con lo stereo a palla, e allora godetevi le frizzanti propensioni melodiche di “Too god in bed” e “Naughty Nanny”, e la vita con il suo tram tram quotidiano, non vi sembrerà più la stessa. Che dire di più, un disco di nostalgici per nostalgici? Non credo proprio, come si dice in queste occasioni “it’s only rock’n’roll, but i like it”, e se lo cantava Mick Jagger!!!!!