Recensione: The Fall Of Omnius
Che Lovecraft abiti l’ambiente musicale estremo è cosa ben risaputa fin dai tempi di “Morbid Tales” dei Celtic Frost (1984), per poi passare nelle lyrics di Vader, Cradle Of Filth, Morbid Angel in maniera ossessiva, fino ai connazionali Necrodeath (“Into The Macabre”) e ai brutali e sensazionali Nile, con il loro disco d’esordio “Amongst The Catacombs Of Nephren-Ka”, datato 1998. E solo otto anni dopo il nome del potentissimo stregone e sacerdote nero proveniente dalla “Città dei Pilastri” araba Irem fa da perno alla saga iniziata in Francia dal quartetto di Auzon, un paesino di mille abitanti appartenente alla regione dell’Alvernia.
In maniera costante e graduale la band ha iniziato a intraprendere un discorso incentrato sull’occulto già nel primo demo “Maze of the Black Pharaoh” del 2008, e nel successivo “Revenge and Supremacy” del 2010, anno in cui i Nephren-Ka definiscono la formazione attuale, dopo l’uscita di scena del chitarrista Florian Noël. Mentre i primi lavori risentivano della presenza di grandi nomi tra i quali gli stessi Nile in prima fila, i tre anni che ci separano da nuovo “The Fall Of Omnius“ sono improntati sulla ricerca di uno stile che rendesse giustizia alle loro eccellenti capacità, nonostante la giovane età dei musicisti. E non solo il quartetto riesce a centrare l’obiettivo, presentandosi con un concept-album che incentra i testi sul romanzo “Dune”, dello scrittore di fantascienza Frank Herbert, datato 1965, ma lo fa in maniera convincente e fortemente personale, seguendo un percorso logico e affascinante.
Il disco scorre come fosse un atto unico, i cui frequenti leitmotiv – stravolti, rielaborati e rimescolati – sono una sorta di filo conduttore che porta l’ascoltatore ad avere dei punti chiave lungo il cammino. Le atmosfere e i suoni sono cupi ma non sempre, con le chitarre che non risultano estremamente cariche di gain, ma distorte e comprensibili in ogni riff, sweep’n’picking, e in un’ampia gamma di accordi atonali che richiamano il Luc Lemay di Obscura, con una sua personalissima timbrica. L’eccelso lavoro alle quattro corde di Phalippon, di stampo jazzistico, che armonizza, si allinea e si allontana dalla sei corde di Briat, per poi uscire allo scoperto con classe e risolutezza (“Butlerian Djihad”, “Feydakins Storm”), è uno dei fattori chiave per l’evoluzione stilistica della band; mentre le creazioni ritmiche sono sostenute dall’incessante drumming di Pialoux, che dimostra di conoscere i precursori ‘del genere’, e senza eccedere oltre la soglia della noia tecnica da ‘batterismo’, riesce a non essere ripetitivo e invadente in un genere che spesso vede la saturazione degli spazi. La musica, di base brutal-technical death, tocca spesso ambiti old-school e a volte elementi black, lasciando in ogni occasione respirare i riff di Briat e il cantato di Chambe, che ricorda in tutto e per tutto il “Corpsegrinder” di Monstrosity e Cannibal Corpse. I tempi dispari che sfociano nelle sezioni melodiche in “The Rise Of Omnius” sono segni evidenti del potenziale della band, che sfrutta fino all’ultima idea per assortire il suo discorso, rendendo comunque al tutto una sua omogeneità, senza che alcun brano risulti ripetitivo.
Tutto gira alla perfezione dall’inizio alla fine e come esordio non si poteva chiedere di più ai quattro, che in misura uguale hanno partecipato alla creazione di questa chicca, “The Fall Of Omnius”, lavoro che potrebbe essere preso da esempio negli anni a seguire, come sintesi di venti anni di assalti brutali, vecchia scuola e modernità di esecuzione. Grande merito della riuscita del disco (masterizzato presso gli Hertz Studio in Polonia) va all’ottimo lavoro di Geoffroy Dury per quanto riguarda registrazione e missaggio.
Il voto è alto, poichè un disco e una band del genere vanno accostati ad act che provano (e riescono) a dare degli scossoni forti a un genere fin troppo statico e ripetitivo. E, al pari di Wormed e Defeated Sanity, spero che il pensiero dei quattro dell’Alta Loira vada compreso e amplificato dal popolo del metallo rovente nell’immediato futuro.
Vittorio “versus” Sabelli
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