Recensione: The Farthest Reaches

Di Francesco Sorricaro - 2 Settembre 2010 - 0:00
The Farthest Reaches
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Anno: 2010
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79

Continua a partorire progenie la nuova scena death metal americana e, come spesso accaduto negli ultimi anni, ancora una volta una di queste promettenti giovani band merita l’attenzione della cronaca. Sto parlando dei Son of Aurelius da Santa Cruz, California.

Concittadini ed ottimi amici degli strabilianti Decrepit Birth, freschi autori di Polarity, questi nerd appassionati di mitologia greca hanno in comune almeno due cose con i più noti compagni di brutalità: una è il chitarrista Chase Fraser, già ex-Animosity, che ha suonato con i Birth in sede live; l’altra è certamente la medesima, sistematica necessità di spingere al massimo ogni soluzione musicale gli venga in  mente, dimostrando una tecnica ed una sicurezza nei propri mezzi di cui quasi tutte le band che emergono oggi da questo particolare terreno di coltura non sembrano mai a corto.

Ne vien fuori che i primi passi discografici dei cinque sono già degni di nota. The Farthest Reaches è infatti un disco fluido e godibile sotto molti aspetti, nonostante si tratti comunque di massiccio death metal americano. Mercy for today è il perfetto biglietto da visita per connotare il sound della band: sfuriate schizofreniche, vocals ruvide e graffianti e tanto gusto per la melodia; è questo il segreto di brani che rimangono stampati nella mente dopo pochi ascolti. Il riffing di Fraser e del suo compare Cary Geare è alla base di composizioni tessute con arzigogoli di estremismo puro e sinuosi intermezzi progressive ma anche corroborate da non rari momenti di pura intensità emotiva.

Imprevedibilità e complessità sono alla base della musica dei Son of Aurelius: gente che non ha problemi a fruire di qualsiasi pigmentazione metallica gli capiti a tiro e che, poi, lo dimostra facendo largo uso delle influenze subite all’interno di un unico album se non all’interno di un unico brano. Manifesto di questa loro (secondo me) grande qualità sono tracce a dir poco variegate come Facing the Gorgon o la conclusiva The First, the Serpent che parte con una chitarra malmsteeniana per finire con una incazzatissima batteria blackeggiante. Del resto, tutto questo è possibile anche potendo contare su di un batterista impeccabile come il giovane Spencer Edwards, grande sorpesa del gruppo, che ha contribuito con il suo drumming pulito e versatile a far sì che l’ascoltatore si trovi di fronte a brani divertenti e pieni di “tira e molla” ritmici, come la titletrack e l’altalenante A champion reborn, come a pezzi più diretti che, comunque, celano sempre una piccola chicca dietro ogni angolo.

Da citare, infine, per la loro unicità, le angoscianti atmosfere da apocalisse dell’estrememente cadenzata Pandora’s Burden, traccia che vede anche la palpabile partecipazione di Matt Sotelo (Decrepit Birth), e due pillole succulente come l’incredibile Mycordial infarction: 1 minuto e 38 secondi di mostruosa tecnica selvaggia e la strumentale The Calm, un gioiellino suonato con chitarra acustica, elettrica e pianoforte che, come si evince dal titolo, precederà la sfuriata finale in chiusura del disco.

I suoni equilibrati e compatti (a parte forse una basso troppo in sordina) ottenuti da Alan Douches, uno che con certe sonorità ha una certa dimestichezza, avendo lavorato con gruppi come Mastodon, Cannibal Corpse e Converge, suggellano questo esordio molto positivo per i Son of Aurelius, un gruppo che si aggiunge piacevolmente alla lista di band da tenere d’occhio per il futuro, in questa, speriamo ancora lunga, nuova fioritura ibrida del death metal americano.

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Tracklist
01. Mercy for today  03:23 
02. Let them hate and fear  03:10 
03. The Farthest Reaches  03:51 
04. Olympus is forgotten  02:22 
05. Facing the Gorgon  04:07 
06. Pandora’s Burden  04:22 
07. A champion reborn  03:00
08. Mycordial infarction  01:38 
09. The Calm  01:33 
10. A good death  02:47 
11. The First, the Serpent  06:16

Durata totale  34:26

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