Recensione: The Fifth of Doom
‘The Fifth of Doom’ è il quinto album per i Bulgari Mosh-Pit Justice, che segue, a poco più di un anno, il più che valido ‘Fighting the Poison’, disponibile dal 14 agosto 2020 attraverso la label Iron Shield Records.
Forte del detto ‘squadra che vince non si cambia’ la formazione che scende in campo è la stessa: il granitico trio composto da Georgy Peichev alla voce, Mariyan Georgiev al basso e Staffa Vasilev nel doppio ruolo di chitarrista e batterista.
Cambia la siluette del gorillone, la mascotte del combo, che, per l’occasione si toglie la divisa da anarchico thrasher, andando così ad assomigliare ad un incazzato King Kong, per guidare l’assalto in sella ad un cavallo infernale.
Cover più adatta ai tempi odierni, dunque, mentre il sound rimane sempre lo stesso, quel Thrash bay area con slanci epici a cui i Mosh-Pit Justice ci hanno già abituati.
Per cui, non è proprio un copia-incolla di ‘Fighting the Poison’, ad esempio si sentono molto meno le influenze del Crossover dei Nuclear Assault, ma rimane comunque un album conservativo, che concretizza le idee già espresse più che tirarne fuori di nuove.
Bé … non è neanche che tutte le volte dobbiamo aspettarci delle novità e, come si dice, è meglio non abbandonare la strada certa per l’incerta.
In campo artistico, però, bisogna anche correrlo questo rischio, altrimenti il pubblico finisce per annoiarsi (e quello thrasher non è che proprio sia dotato di un’infinita pazienza …).
Per fortuna i Mosh-Pit Justice non sono arrivati a questo, e speriamo non ci arrivino mai: ‘The Fifth of Doom’ anche se non dice nulla di nuovo si ascolta volentieri, prendendosi le giuste dosi di cazzotti in faccia.
Sì, perché l’album è tirato, dinamico, potente e granitico e ben prodotto, insomma: piace.
Molto curato come arrangiamenti, soprattutto sotto il profilo stereofonico, presenta un gran lavoro di chitarra, con riff serrati e linee melodiche aggressive e contrapposte che colpiscono un po’ da tutte le parti ed assoli che, per quanto lunghi, non prendono mai vie traverse andando a viaggiare per conto loro.
Gli otto brani che compongono l’opera sono di buon minutaggio, nella fascia tra i quasi cinque minuti ed i poco meno di sei.
La loro tessiture è variabile, con grande ricchezza di cambi di tempo pindarici che spezzano i ritmi e parti introduttive che mettono la giusta apprensione.
Batteria bellicosa, momenti scuri e pesanti, slanci furiosi e tirate spasmodiche … c’è un po’ di tutto quello che è il Thrash d’annata, con quel tocco di personalità dato da una voce che ha le doti tanto di un condottiero quanto di un ribelle perennemente incazzato.
Si passa da una ‘Designed to Suffer’, che apre l’album, basata sulla velocità pressante, ma con un interludio cadenzato ed epico, ad una furente ‘Destiny to Row’, ad andatura più controllata ed epica.
‘Voices Below’ è velocissima, ‘Into the Light’ è demoniaca, la marziale ‘Down to Bleed’ è un assalto all’arma bianca e così via, fino alla fine del lavoro che si chiude con l’energica ‘My Transgressions’.
Concludendo, un album che è tutto tranne che statico, dai tratti incisivi e bellicosi, aggressivo e deciso.
Un altro buon lavoro che i Mosh-Pit Justice infilano nel loro carniere. Aspettiamo gli sviluppi attendendoli al varco.