Recensione: The Final Chapter
Necronomicon, un monicker che non può non rimandare agli anni ’80, quando lo scrittore statunitense H.P. Lovecraft (1890–1937) venne, praticamente, fregiato del titolo di ‘Metallaro ad Honorem’ tanto che, ovunque fosse finita la sua anima, probabilmente se ne andava in giro indossando la maglietta dei Metallica (a braccetto con l’anima di Edgar Allan Poe (1809 – 1849) che, invece, portava una T-Shirt degli Iron Maiden).
L’omonima band tedesca, nata nel 1983 a Lörrach, era riuscita a farsi notare all’epoca non solo perché portava il nome del titolo del terribile libro che non è mai stato scritto (forse), ma anche per il sound espresso, che all’epoca piaceva parecchio: quel Thrash quadrato, feroce e senza freni nato nei bacini della Ruhr che vedeva Destruction, Sodom e Kreator a disputarsi i vertici.
Purtroppo, però, secondo la dura legge del mercato, non si emerge solo con il talento, che in qualche misura c’era. Necessita anche il riuscire a scegliere l’etichetta giusta e qui i Necronomicon sono cascati malissimo, finendo nel tunnel delle odiose battaglie legali perdendo i diritti sulle loro canzoni e subendo una consequenziale battuta di arresto.
A questo aggiungiamo una ‘terrificante concorrenza’: nel 1986, anno del loro debutto con ‘Necronomicon’, i nostri si son dovuti confrontare con delle vere bordate d’oltreoceano ‘Master of Puppets’, ‘Reign in Blood’ e ‘Peace Sells … But Who’s Buying?’, con le uscite dei loro conterranei già citati, come Destruction (‘Eternal Devastation’) e Kreator (‘Pleasure to Kill’), e per finire con gli esordienti Exumer (‘Possessed By Fire’), Angel Dust (‘Into The Dark Past’) e Tankard (‘Zombie Attack’) che hanno catturato una maggiore attenzione. Una lotta dura, se si tiene conto che all’epoca gli album si dovevano comprare, non c’era lo streaming e nelle tasche dei duri metallari non girava tantissimo denaro.
Non solo … quando la sfiga ci si mette non c’è mai un limite … il tentativo di risollevarsi del 1994 con l’album ‘Scars’ non andò bene: la nuova casa discografica fallì ed, addirittura, la loro sala prove prese fuoco con la perdita di quasi tutta l’attrezzatura.
Questo comportò per la band un silenzio di dieci anni. Un vero peccato, perché album quali il già citato ‘Necronomicon’ ed i successivi ‘Apocalyptic Nightmare ‘ ed ‘Escalation’ sono comunque una discreta testimonianza di quello che è stato il periodo storico che oggi chiamiamo Old School.
Nel 2004, sulla scia della rinascita di molte band Heavy Metal, Freddy, Jogi ed Axel decidono di rimettersi in pista, reclutando il chitarrista Andreas ‘Andi’ Ger ed il bassista Mac Meder.
E’ una nuova era per i Necronomicon, che lasciano da parte una buona fetta della loro ferocia istintiva per introdurre, nel loro Thrash, elementi ‘classici’ ma anche più contemporanei, più ragionati diciamo, ma comunque grintosi, massicci e di buon tiro.
‘Construction of Evil’ è il nuovo album, che mostra una band che vuole affrontare con coraggio il nuovo millennio, senza rimandi nostalgici o troppo legati al loro passato, con la voce di ‘Freddy’ che, nonostante i suoi limiti, riesce a dare un buon taglio distintivo.
Da lì il combo ogni tre, quattro anni sforna un disco; nessun album è un ‘discone’ ma la qualità va oltre la sufficienza ed i Necronomicon, che dal 2008 hanno, come unico membro originale, il graffiante vocalist, riescono a ritagliarsi un proprio spazio nel rinnovato movimento della ‘musica pesante’.
Cosa che vogliono continuare a fare con ‘The Final Chapter’ il nuovo album disponibile dal 26/03/2021 via El Puerto Records.
L’ album vede un nuovo ed importante cambio di formazione, con l’abbandono del batterista Christopher Speich, sostituito da Rik Charron (Ex Exciter), e l’entrata in campo del chitarrista Glen Shannon, che ha collaborato con i membri di Fates Warning e Pentagram.
Un tentativo di attingere nuova linfa dalle scuole canadese e americana, dando un taglio internazionale alla band, che però non viene tanto esaltato.
Niente di nuovo: ‘The Final Chapter’ rimane sulla linea dei lavori precedenti scatenando un Thrash virulento basato più sulla grinta che sulla ferocia, mettendo in maggiore risalto la componente Heavy più che la matrice Hardcore.
Velocità, melodia e pestaggio sonoro viaggiano assieme, lasciando strascichi di influenze ‘classiche’: nella maggior parte dell’album si sente che Accept e Judas Priest fanno parte del retaggio di ‘Freddy’ e soci, così come alcune tracce, come ‘The Devil’s Tears’ e ‘Stormreaper’, dimostrano una certa passione per le atmosfere melodiche degli Iron Maiden di ‘Fear of the Dark’.
A parte questo l’album scorre, diverte sufficientemente, ci sono buone idee ma non esce dall’ordinario, rimanendo sottotono rispetto al precedente ‘Unleashed Bastards’ del 2018.
Non ci sono elementi di spicco, anzi, l’iniziale ‘I Am the Violence’ è l’esatto contrario, facendoci venire il dubbio se continuare o meno nell’ascolto. Una partenza di gran poco effetto.
La tecnica dei musicisti è indiscutibile, ma sembra che sia poco sfruttata, oggigiorno escono dozzine di album come ‘The Final Chapter’, anche da parte di artisti più giovani e meno esperti e se consideriamo che Necronomicon ormai è solo un monicker sfruttato per richiamare il passato … se dobbiamo dare una chance …
Ci si aspettava di più, soprattutto in considerazione dei nuovi artisti entrati in squadra, indicatore di voglia di effettuare una svolta. Insomma, se il titolo del platter indica la chiusura di un capitolo per girare pagina, prima di farlo c’è ancora del lavoro da fare.
Nonostante questo, delle tracce non male ci sono: la dinamicità di ‘Wall of Pain’ amalgama bene furia ed epicità, ‘Purgatory’, nonostante una lunga e dispersiva narrazione oscura, colpisce con durezza, ‘Spilling Blood’ ha un taglio militaresco che prende, ‘World on Fire’ ha un’andatura da palco e ‘Me Against You’ è un Thrash compatto e d’impatto.
I trentacinque anni di esperienza e l’aver suonato con band di alto lignaggio qualcosa di buono fa, ma non è abbastanza per uscire da quel livello medio dove, alla fine, i Necronomicon si sono piazzati, per capacità o sfiga che sia.
Per cui, il giudizio per ‘The Final Chapter’ va oltre la sufficienza, ma da una band di tale fattura pretendiamo molto di più. Aspettiamo il prossimo lavoro.
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