Recensione: The Final Sermon (Live in Japan 2019)

Di Andrea Bacigalupo - 26 Luglio 2024 - 8:30
The Final Sermon (Live in Japan 2019)
Band: Metal Church
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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80

Marc Lopes, per quanto non sia secondo a nessuno, finché farà parte dei Metal Church dovrà confrontarsi con il ricordo di David Wayne e Mike Howe, due vocalist dal talento e dal carisma straordinari (purtroppo tragicamente deceduti entrambi) che, con questa band, hanno scritto una buona fetta della storia dell’Heavy Metal statunitense degli anni ’80-’90.

Per rendergli la vita ancora più difficile Reaper Entertainment, per commemorare il terzo anniversario della morte di Mike Howe, avvenuta il 26 luglio 2021, getta sul mercato un nuovo album dal vivo: ‘The Final Sermon (Live in Japan 2019)’, disponibile dal 26 luglio 2024.

Il disco raccoglie le registrazioni del 24 e 25 agosto 2019 al Club Citta di Kawasaki, Giappone, durante il ‘Damned If You Do Tour’ (che passò dall’Italia il 12/07/2019 al Parco Ex Colonie Padane di Cremona in occasione del Luppolo in Rock), tra le ultime performance dello sfortunato cantante.

Non si sa quanto sia stato estratto da una data e quanto dall’altra: le scalette delle due giornate erano formate dagli stessi pezzi, disposti però in modo leggermente diverso (ad esempio il 24 agosto vedeva ‘Badlands’ al terzo posto e ‘Fake Healer’ in chiusura, poi invertite nella giornata successiva) e la sequenza dell’album, pur se prossima a quella del 25 agosto, è ancora diversa.

Ci sono, comunque, praticamente tutte, con ‘Agent Green’ e l’encore ‘Anthem To The Estranged’ (quest’ultima assente dai palchi dal 1990) presenti, però, solo sulle versioni digitali ed in cassetta.

The Final Sermon’ rappresenta quello che i Metal Church facevano all’epoca: Mike aveva ripreso il suo posto nella band da quattro anni incidendo due nuovi album (‘XI’ nel 2016 e ‘Damned If You Do’ nel 2018), ma la maggior parte dei pezzi suonati onstage erano estratti dalla prima decade di vita della band, quella tra il 1984 ed il 1993.

Ad esempio, a parte le date giapponesi registrate, che includevano 12 pezzi “vecchi” su un totale di 16, la tracklist di Cremona ne aveva 10 su 14.

Il minimo indispensabile per promuovere il presente ma con un deciso “ritorno al passato”, in pratica, escludendo totalmente il periodo di mezzo, quello più scuro per la band, mancando estratti da ‘Masterpeace’ del 1999 (con il ritorno temporaneo di David Wayne e definitivo di Kurdt Vanderhoof) e dai quattro lavori successivi, nei quali, dietro il microfono, stava Ronnie Munroe (Vicious Rumors, Trans-Siberian Orchestra tra i tanti).

Venendo al dunque, queste canzoni storiche e essenzialmente eterne le abbiamo già ascoltate più o meno in tutte le salse, in alcune versioni anche venute meglio. Nel 2017, ad esempio, era uscito ‘Classic Live’, con una tracklist praticamente uguale e poi, in rete, si trova praticamente di tutto (si consiglia di guardare un loro concerto estratto dal ‘Dynamo Open Air’ del 20 maggio 1991).

Allora cos’ha in più ‘The Final Sermon’? Sostanzialmente che, purtroppo, sappiamo cosa succederà da lì a neanche due anni e così ci si concentra maggiormente su Mike, percependo tutta la sua forza che mette assieme aggressività e disperazione all’interno di una performance vigorosa, teatrale e trascinante. Mike Howe è stato l’Heavy Metal, fin dai tempi degli Heretic (chi non li conosce lo faccia ascoltando ‘Breaking Point’ del 1988) e qui lo dimostra in pieno.

The Final Sermon’ è un disco dalla forte carica emotiva: pezzi come ‘Fake Healer’, ‘Start The Fire’, ‘Watch The Children Pray’, ‘Beyond The Black’ o ‘Badlands’ colpiranno sempre nel segno, anche se suonate per clavicembalo e trombone, questa volta in modo particolarmente intenso, però, perché subentra la malinconia del ricordo, quella che rende ancora più ricettivi, la stessa che sopraggiunge quando si ascoltano Bon Scott, Ronnie James Dio o Freddie Mercury tanto che, per una volta, ci si dimentica di fare un altro confronto, quello tra Howe e Wayne … è giusto così … non sono né il momento né la sede.

Al di là di questo, la scelta delle date è stata scrupolosa: non solo Mike è in forma, ma tutta la band, che non sbaglia un colpo, con la tracklist che amalgama bene quei pochi pezzi nuovi con i tanti classici.

Lavoro di batteria terremotante, egregie parti di chitarra che dimostrano una notevole cultura musicale, potenza e pathos da vendere, una buona affinità (tra l’altro ancora visibile nella formazione odierna) dei maestri, in poche parole … ehhh! … non rimane altro da dire, questo è un live che non può mancare nella nostra discografia.

Chi conosce i Metal Church sa anche qual è il loro valore passato e presente, questo album non aggiunge niente sul piano musicale ma tanto sul piano emozionale. Per chi non li conosce o per chi non ha vissuto quegli anni incredibili, è una buona occasione per farlo … non resterà deluso!

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