Recensione: The Final Sin
Dicono che il modo migliore per sconfiggere i propri demoni, sia quello di affrontarli. Presumo si tratti della filosofia che il combo austriaco degli Irdorath mette in pratica da quindici anni a questa parte, con la loro perfetta miscela di black metal e thrash davvero graffiante. Per quel che riguarda l’ultimo capitolo della notevole ma quanto mai sottovalutata discografia, sembra che i nostri abbiano deciso di prendere a martellate i suddetti demoni, disintegrarli e non lasciare neppure un minimo ricordo di essi. Ingredienti abbastanza chiari quando si approccia un album black metal, che mai come in questo caso accantona gli stilemi lo-fi e quell’umido cordone ombelicale che abbraccia gran parte della proposta di genere sotto il freddo cielo di una foresta desolata, in virtù di un sound cristallino che guadagna in potenza e prepotenza, almeno quanto riesce a spostare il proprio cursore dei decibel.
Bastano appena pochi secondi per passare dall’attesa al chaos primordiale descritto con l’opener Chains Of Virtue, dove troviamo gli schemi di un black metal puro, ma che si mantiene compatto e incisivo, grazie ad aperture che concedono anche spazio a momenti più melodici, abbastanza da rendere canzoni come la successiva Debaptized anche alla portata di un pubblico non necessariamente avvezzo a face-painting & co.
Lo stato di grazie degli Irdorath concede al quartetto di ascendere sino ai cancelli del paradiso, spalancarli violentemente e portare rancore e disgusto là dove tutto è bianco candido, proprio come rappresentato nella copertina, un artwork che anch’esso si discosta dalla classica prevalenza di nero di gran parte dello scaffale black metal. Markus Leitner è l’autentico trascinatore, leader indiscusso di un drappello di rivoltosi pronti a seguirlo tuonando blast beats, riffing che omaggiano anche atmosfere più death metal l’attimo prima e più thrash quello successivo, basti prendere come esempio l’ottima ed evocativa Divine Delusion o l’incredibilmente ispirata The Anthem Of The Final Sin, senza dubbio uno degli episodi migliori dell’intero lavoro.
Con la successiva The Plague, I Am si fa ritorno su binari più devoti alla causa, valorizzando un’atmosfera introduttiva rituale e una partenza velocissima, colonna sonora ideale per descrivere la piaga riversata sugli angeli rappresentata da una delle band che a questo punto del nostro ascolto ha confermato senza ombra di dubbio di aver tirato fuori uno dei dischi migliori di questo 2020 apocalittico anche al di qua della barricata. Agli sgoccioli dei suoi tre quarti d’ora, The Final Sin non mostra alcun segno di cedimento e anzi continua imperterrito nel suo andirivieni di ritmiche più cadenzate che esaltano ancor meglio le ripartenze che rappresentano quella caduta nel vuoto portata dai disintegratori (Shatterer Of Worlds). Il motivo conclusivo, When The Last Bell Falls Silent, si articola prevalentemente su andature più marziali, quasi come se cercasse di far levare la polvere dopo la furiosa battaglia tra le forze del bene e quelle del male, le quali mai come in questo tomo hanno sferrato un attacco granitico e capace di devastare qualsiasi cosa, entità ed emozioni gli si parasse davanti. Va sottolineato come The Final Sin non sia affatto una mera rincorsa verso la più cieca violenza, ma piuttosto un album maturo, ben suonato e ben prodotto e soprattutto composto così bene da offrire tutto ciò a cui il black metaller più incallito non può e non vuole rinunciare, offendo al contempo abbastanza varietà da allargare la propria stretta e mietere ancora più vittime.