Recensione: The Force
1986.
La flotta degli U.S.A. si mobilita pericolosamente davanti alle coste della Libia, esplode la centrale nucleare di Černobyl’, fallisce il summit di Reykjavík tra Reagan e Gorbaciov per la riduzione degli arsenali nucleari.
È proprio in questo clima – fatto di paure e incertezze – che trova terreno fertile la rabbia che porterà alla nascita dei più grandi album di thrash metal della Storia: “Among The Living”, “Master Of Puppets”, “Peace Sells … ”, “Reign In Blood” e “Pleasure To Kill” sono solo alcuni dei capolavori che risuonano prepotentemente negli stereo dei kids dell’epoca, guadagnandosi di diritto un posto d’onore nell’Olimpo del Metal.
All’interno di quest’ondata (sarebbe ingeneroso definirlo un semplice trend) gli Onslaught di Bristol (U.K.) pubblicano il loro secondo lavoro, a distanza di un anno dal debut “Power From Hell” (rabbioso esempio di proto-thrash figlio delle esagerazioni dei Venom e dei dimenticati Warfare). “The Force” esce su Under One Flag/Music For Nations e vede l’esordio dietro al microfono di Sy Keeler, al posto del meno talentuoso Paul Mahoney, che preferirà dedicarsi unicamente al basso. A sua volta Jase Stallard coglierà l’occasione per spostarsi alla seconda chitarra.
Se, da una parte, non cambiano di molto i temi affrontati dai nostri (proclami anticristiani a ben vedere alquanto banali – «Satans force rains from the throne to slay the priest of lies … » – inframmezzati da scenari da olocausto nucleare – «Nuclear warfare raging on earth destruction the ultimate key … » – e da slogan di conclamata fede metallica – «Sweat and leather thrashing metal screams … »), dall’altra è evidente la crescita qualitativa rispetto al più grezzo debut album. Sia chiaro, “The Force” non passerà di certo alla Storia come esempio di tecnica e stile, ma, certamente, presenta quelle caratteristiche in termini di feeling che gli permettono di entrare nella cerchia degli album oggetto di culto apprezzati dai più nostalgici. La lunghezza media dei pezzi, più elevata rispetto agli standard dell’epoca, è oltretutto il timido segnale della volontà della band di andare oltre il semplice blitzkrieg sonoro (tendenza che sarà portata al parossismo nel successivo “In Search Of Sanity”): brani non elaborati e non originali, quindi, ma più dilatati, come se Nige Rockett & Co. avessero voluto porre le basi per possibili, eventuali evoluzioni future. Cosa che, puntualmente, si sarebbe verificata.
Le ostilità si aprono con le tre tracce che, secondo il parere di chi scrive, reggono da sole l’intero lavoro. “Let There Be Death”, “Metal Forces” e “Fight With The Beast” rappresentano l’archetipo del thrash degli Onslaught: ciascun pezzo è contraddistinto da un attacco trascinante, l’alternarsi verse/chorus è quanto mai strutturato e rende i suddetti brani estremamente accessibili e memorizzabili. È un thrash metal giovane e acerbo, che risente della scuola inglese più oscura, come affermato sopra, ma che non può nascondere l’influenza delle band che ormai spopolavano di là dell’oceano: gli Slayer con “Hell Awaits” e i primi Metallica sono ascolti su cui i Nostri non hanno di certo lesinato. Un lugubre organo introduce “Demoniac”, che presenta qualche rallentamento rispetto alle precedenti tre sfuriate: è come se nel lato B dell’album ( … c’è chi ancora ne conserva gelosamente la prima versione in vinile … ) avessero voluto tirare fuori la loro indole più oscura e diabolica. Ma, nessuna paura, non si tratta di esperimenti in aree a loro non consone: rimane un thrash veloce e chitarristico, dove la base ritmica non brilla certo di luce propria e tende, a volte con qualche difficoltà, a seguire le asce – loro sì, vere protagoniste – con ritmiche abbastanza semplici e quadrate. Per l’epoca, comunque, più che sufficiente allo scopo. Dalle tastiere di “Demoniac” si passa a lenti rintocchi di campana per introdurre “Flame Of The Antichrist”, la più lunga del lotto che, dopo un inizio pachidermico e minaccioso, riprende l’attacco a base di palm-muting e tempi serratissimi. “Contract In Blood” non sembra aggiungere nulla di particolarmente innovativo (da notare verso il quarto minuto un riff portante che riporta tanto a “Kill ‘em All” come atmosfere), mentre le cose tornano a farsi serie con la conclusiva “Thrash Till The Death”, vero e proprio attacco all’arma bianca e inno conclusivo dell’album.
In seguito all’uscita del disco, che ebbe un discreto successo, gli Onslaught riuscirono a imbarcarsi in una serie di tour di spalla a gruppi quali Anthrax e Motorhead: il climax della loro attività live in quell’anno fu raggiunto con l’esibizione davanti agli 8.000 spettatori del primissimo Dynamo Festival di Eindhoven. Gli inglesi erano quindi sulla rampa di lancio, eppure sarebbero poi incappati in situazioni e scelte che ne avrebbero irrimediabilmente segnato la fine, almeno temporanea. Ma, questa, è un’altra storia.
Se puntate a un thrash originale, tecnico, evoluto, guardate pure altrove. Se invece quello che cercate è il puro spirito anni ’80 fatto di rabbia, aggressività e velocità e se, ancora di più, considerate la vecchia scuola come il vostro pane quotidiano, allora non potrete non apprezzare l’attacco spregiudicato e borchiato di un album coperto da una patina di culto: “The Force”.
Vittorio “Vittorio” Cafiero
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Track-list:
1. Let There Be Death (6:42)
2. Metal Forces (6:38)
3. Fight With The Beast (6:02)
4. Demoniac (6:51)
5. Flame Of The Antichrist (7:50)
6. Contract In Blood (6:13)
7. Thrash Till The Death (4:40)
All tracks 45 min. ca.
Line-up:
Sy Keeler – Vocals
Nige Rockett – Lead Guitar
Jase Stallard – Rhythm Guitar
Paul Mahoney – Bass
Steve Grice – Drums