Recensione: The Fortress
I Blizzard nascono in quel di Bergamo nel lontano 1987 con una formazione leggermente diversa da quella attuale. Pubblicano un demo-tape nel ’94, intitolato “Through The Times”, e si fanno conoscere con vari concerti nelle province di Bergamo, Brescia e Como. “The Fortress” è il loro esordio ufficiale, nonché una specie di summa di tutto quanto hanno prodotto finora.
Quello che colpisce immediatamente è la scelta delle canzoni: la più “nuova” è stata composta nel 1997, ovvero dieci anni fa; la più vecchia data addirittura gli esordi della band.
Non si può imputare al gruppo una mancanza di coerenza stilistica comunque, questo no di certo! I modelli cui la band si ispira sono evidenti fin dal primo ascolto, e prima ancora dalla copertina e dal logo: parliamo di Iron Maiden, Helloween e, perché no, anche Blind Guardian.
Non si pensi agli ultimi lavori di tali band regali: parliamo soprattutto dei loro cd degli anni ottanta, come “Walls Of Jericho” o “Battalions of Fear”. La strumentale “Heroes Ride Again” e l’attacco di “The Fortress” ci riportano immediatamente a quelle sonorità.
Mi si permetta di essere un po’ scettico riguardo a tale proposta musicale: se è vero che, come la letteratura e le arti, anche la musica evolve, proporre nel 2007 uno stile in voga vent’anni fa è una scelta inusuale sì, ma forse un po’ troppo passatista. Questione di gusti, certo! Ma credo che la maggioranza degli ascoltatori preferirebbe qualcosa di più nuovo, in tutti i sensi.
Parlando di musica, sono molti i punti in cui “The Fortress” è mancante: pochi episodi raggiungono una sicura sufficienza (indicherei i primi quattro come i migliori, senza ombra di dubbio), gli altri sono decisamente sotto la media.
La carenza principale e fondamentale è la mancanza di fantasia nel songwriting. Come accennavo in precedenza, se i Blizzard riescono a non suonare incoerenti nel loro stile, mettendo nell’album canzoni composte con molti anni di distanza l’una dall’altra, è perché di fatto hanno variato molto poco nel modo di scrivere. Le canzoni si somigliano un po’ tutte, il giro di accordi su cui si basano è fin troppo semplice a fronte di una melodia quasi mai all’altezza della situazione: sappiamo tutti che i Maiden sono maestri della semplicità, e riescono a creare capolavori con un sostegno accordale minimo. Ma non per niente sono loro! I Blizzard ci provano, ma il risultato è solo accettabile. Soprattutto, mancano ritornelli in grado di catturare l’attenzione di chi ascolta. Le tracce scorrono come un tutto unico, senza momenti di spicco che si imprimano nella mente. L’idea di collegare tutte le canzoni senza pause accentua la sensazione di staticità generale: dopo un po’ la noia è inevitabile. Manca la genialità e la spregiudicatezza dei Bardi e delle Zucche: la grinta di Mario “Medusa” al microfono rischia di diventare una sorta di parodia ironica del primo Kai Hansen. Il suo canto non è esattamente growl, ma non si può dire che sia voce pulita: non sempre si distingue una vera e propria linea vocale, con suoni precisi e identificabili. E questo, per il power di medio livello, è deleterio.
Altro punto negativo, la produzione. Non si può dare eccessiva colpa della scarsa qualità della gestione dei suoni alla band: il cd è autoprodotto, i mezzi sono rudimentali e si sente. Nel calderone delle pecche dell’album, però, anche questo aspetto concorre ad accentuare il giudizio negativo complessivo. La batteria si sente troppo poco, i suoni sono ovattati e poco nitidi, si percepisce un senso generale di “sporcizia” un po’ snervante. I gruppi prodotti bene in Italia non sono molti, questo è vero ma per gli standard cui siamo abituati di certe produzioni straniere, questo è decisamente troppo sotto la media.
Poi, il cd è troppo corto: poco più di mezz’ora di musica, con quattro episodi strumentali su dieci tracce, è davvero un po’ pochino. Tanto più che la band, in vent’anni, di materiale a disposizione ne aveva di sicuro moltissimo!
Concludo con un aspetto positivo, forse l’unica cosa che mi ha colpito in bene nell’ascolto: la band è preparata tecnicamente, e riesce a produrre soli molto buoni, con pacato esibizionismo e discreta melodia. Valga come esempio il solo della title-track, molto melodico e godibile, abbastanza azzeccato.
Nonostante il gruppo abbia una lunga storia alle spalle, insomma, il debutto è un album tutt’altro che maturo. L’acquisto e l’ascolto sono riservati ai nostalgici delle vecchie sonorità degli anni ’80, che non si ritrovano nel panorama power-heavy attuale e gradirebbero molto un salto indietro nel tempo. Ma per gli altri non trovo molte ragioni di interesse per questo cd. Sul mercato c’è di molto meglio. Speriamo bene per il prossimo lavoro: le qualità tecniche necessarie per fare bene ci sono. Ci vorrebbe una svolta nel songwriting in senso più moderno, più melodico, e soprattutto più incisivo. Per ora la distanza dai modelli è quasi imbarazzante. C’è molto da lavorare.
Mattia Di Lorenzo
Tracklist:
1. Heroes Ride Again
2. The Fortress
3. Blizzard
4. The Day Of The Sword
5. Illusion Of Glory
6. Games Of Death
7. Avatar
8. The Dark Side Of Progress
9. Sir Joe
10. Into The Maze