Recensione: The Fourth Legacy
Disco interessante questo “The Fourth Legacy” dei Kamelot che insieme al successivo “Karma” riesce a mostrarci come le due facce di una stessa medaglia. Questi due dischi infatti posso essere facilmente considerati come il miglior prodotto del gruppo anche se sono molto diversi tra di loro.
Karma è più lento di The Fourth Legacy, ha ritmiche rallentate, quasi ipnotiche in certi punti e per questo trasuda un’atmosfera più riflessiva.
Al contrario questo The Fourth Legacy può essere considerato come la faccia in luce, la versione allegra, veloce, ritmata del successivo disco. Come le due facce di una medaglia questi due dischi ci restituiscono i Kamelot al meglio delle loro capacità mostrandoci le varie sfaccettature del loro modo di fare musica.
Ma lo spazio è tiranno anche su una webzine e per non mettere ulteriormente alla prova la vostra attenzione, passiamo subito a parlare delle tracce di questo disco.
Si parte con “New Allegiance” che in quella che è diventata la più classica tradizione dei dischi power ed epic è un intro strumentale. Non si tratta però di un brano dal più o meno marcato sapore epico o sinfonico, bensì ci troviamo di fronte a pezzo strumentale che forse sarebbe più adatto all’inizio di un disco prog.
Sul finale della prima traccia si allaccia e comincia “The Fourth Legacy”, una veloce cavalcata iniziale che ci introduce il brano più bello del disco. Una classica canzone di power-epic melodico, orecchiabile, che conquista subito l’ascoltatore senza però scadere mai nel banale ma mantenendo un livello qualitativo sempre sopra la media.
Subito con l’inizio di “Silent Goddess” ci rendiamo conto che gli elementi prog non sono però stati risevati solo all’intro strumentale, ma, soprattutto nelle ritmiche di basso e batteria, tornano a fare capolino in questa canzone molto gustosa che non cade mai nel facile tranello dell’autocompiacimento.
Come quarta traccia troviamo un nuovo corto brano strumentale che questa volta è tutto incentrato su un genere di musica di stile medio-orientale e che ci trascina piacevolmente tra danzatrici del ventre e stupende albe nel deserto.
Trascinati da questa musica esotica non ci accorgiamo neanche di sfociare nella successiva “Nights of Arabia” che ne è la diretta continuazione. Le musicalità medio-orientali vengono in parte lasciate da parte per questa canzone, ma non tanto da non lasciare un piacevole retrogusto nell’ascolto. Bellissimo il ritornello con il coro femminile e una canzone che nei gusti del sottoscritto si piazza subito dietro, se non a pari, con la titletrack nella classifica delle canzoni più belle di questo disco.
Con “The Shadow of Uther” si torna a musiche più direttamente power, con una canzone nel classico stile del genere, dal ritornello che conquista e un ottimo uso, a mio avviso, ancora una volta del coro femminile. Si fa notare in particolare per la chiusura della canzone con il motivo portante della song eseguito in stile medievale.
“A Sailorman’s Hymn” è invece una lenta ballad, impregnata di tristezza, in cui spicca l’interpretazione sofferta del singer.
La successiva canzone, “Alexandria”, torna su ritmi un po’ più sostenuti e presenta una ripresa di qualcuno dei ritmi arabi già presenti in precedenza, affidandoli al pregevole uso della tastiera. Come al solito un bel ritornello ispirato e che si lascia velocemente assimilare come quelli di tutte le canzoni di questo disco.
Più grezza, ma è un’impressione comunicata solo dalle chitarre più distorte del solito e dalla sequenza di riff granitici, si presenta a noi “The Inquisitor” che usa gli accorgimenti sopra descritti per comunicarci una ambientazione più cupa e cattiva.
Ma è questione di poco perchè la successiva “Glory” è una nuova ballad per voce e chitarra acustica con sottofondo sinfonico, lenta e melodica, molto dolce, quasi l’opposto della canzone precedente, sembra quasi una preghiera.
Si ritorna a picchiare con Until “Kingdom Come”, la canzone più autenticamente power di tutto il disco, con una batteria che parte sparata con una cavalcata iniziale con accompagnamento di tastierina veloce, come in certi brani degli Stratovarius, per poi mantenere il ritmo su tutta la canzone che infila l’ennesimo ritornello azzeccato con accompagnamento di cori.
“Lunar Sanctum” è l’ultimo brano del disco e si mantiene sullo stesso stile, senza aggiungere ne togliere nulla, riuscendo a fondere parti più lente e riflessive al classico ritornello sostenuto e trascinante con cori.
In conclusione un bel disco di power, di buona qualità, che nulla aggiunge ma neanche nulla toglie al genere. Sicuramente indicato agli estimatori del genere e ai fan dei Kamelot essendo uno dei loro dischi più belli.
Tracklist
01 New Allegiance
02 The Forth Legacy
03 Silent Goddess
04 Desert Reign
05 Nights of Arabia
06 The Shadow of Uther
07 A Sailorman’s Hymn
08 Alexandria
09 The Inquisitor
10 Glory
11 Until Kingdom Come
12 Lunar Sanctum
Alex “Engash-Krul” Calvi