Recensione: The Fourth Moon
In ambito Stoner/Doom non è affatto inusuale imbattersi in band dedite a una proposta strumentale. Si pensi ad esempio ai seminali Karma To Burn (il cui scioglimento è stato – tristemente – annunciato di recente) o a una realtà più giovane, ma di grande spessore, come gli inglesi Bongripper o ancora alla scena polacca con stonatoni come Belzebong e Major Kong. Anche in Italia non mancano esempi di questo approccio al genere: è il caso dei Cambrian, con il loro peculiare innesto di elementi Surf, e dei Prehistoric Pigs, autori di uno Stoner/Doom psichedelico e pieno di fuzz.
Questi ultimi si formano nel 2012 a Mortegliano, in provincia di Udine. Sin dagli esordi il combo è composto dai fratelli Juri e Jacopo Tirelli, rispettivamente alla chitarra e al basso, e da loro cugino Mattia Piani alla batteria. Insomma, quello che si definisce un affare di famiglia… Tra il 2012 e il 2019 i friulani danno alle stampe 3 full-lenght e uno split con gli irlandesi Electric Taurus e calcano palchi nazionali e internazionali, tra cui quelli di numerosi festival (Navajo Calling Fest di Parma, Pietra Sonica di Udine, Born Wild Festival di Dresda, Stonerhead Festival di Salisburgo e il Tides of Youth Festival di Krk).
Alla fine dello scorso novembre i Prehistoric Pigs hanno rilasciato “The Fourth Moon”. Questo – per l’appunto – quarto album, uscito per Go Down Records, segna il ritorno della band a uno Stoner Rock/Metal nudo e crudo, come si percepisce chiaramente sin dalla opener “C35” che, aperta da un giro di basso ultrasaturo e da feedback, con l’ingresso del riff di chitarra diventa una marcia cadenzata e compatta fino al finale, in cui sono gli assoli psichedelici a rubare la scena. Un po’ più veloce la successiva “Old Rats”, che rallenta nelle dilatazioni hawkwindiane nella sezione centrale.
Con il suo incedere scandito, nonostante le occasionali accelerazioni di batteria, “Crototon” è in linea con quanto ascoltato finora. “The Fourth Moon” è un midtempo che acquista maggiore spessore nella seconda parte, grazie all’ intensità del riffing da trip cosmico che fa il paio con il clangore incessante dei piatti. Con un passo più sostenuto, la prima parte di “Left Arm” è uno dei passaggi più incisivi del platter, con una sezione ritmica che rimane intensa anche durante il lungo assolo fuzzy. Movimentata anche la closer “Meteor 700” in cui cavalcate à la Motörhead si alternano a decelerazioni psicotrope.
Come accade spesso con le pubblicazioni strumentali, anche “The Fourth Moon” non è una easy listening e necessita di ripetuti ascolti per essere compreso. Va però precisato che, pur mancando la voce, la “forma canzone” non è abbandonata in favore di jam session destrutturate: le composizioni, infatti, rimangono serrate e coerenti, con le divagazioni Heavy Psych ad apportare una discreta variabilità di atmosfere. Una produzione meno immediata avrebbe probabilmente conferito più fragore e intensità al risultato finale, determinando un maggiore impatto sull’ascoltatore.
Le influenze di mostri sacri come Sleep, Karma To Burn e Hawkwind si avvertono chiaramente a più riprese. Tuttavia i Prehistoric Pigs riescono a convogliare la propria personalità in una proposta valida, ma fruibile quasi esclusivamente dalla delimitata cerchia dei fan più sfegatati dello Stoner/Doom.