Recensione: The Frozen Throne
Negli ultimi anni la scena undeground di power melodico nel nostro paese gode di buona salute, grazie a giovani band che profondono enorme impegno e dedizione, calcando i palchi in apertura dei mostri sacri del genere ed acquisendo nel tempo l’esperienza che forse, un giorno, li porterà ad essere protagonisti. È indubbiamente il caso dei lucchesi Kalidia, che dal 2014 hanno condiviso il palco con band come Serenity, Cellar Darling, Ancient Bards, Vision Divine e Timo Tolkki. Strumento principale di promozione per questi giovani gruppi, nel mondo iperconnesso dei nuovi media è Youtube. Anche qui, i Kalidia sembrano eccellere: la titletrack del primo disco “Lies’ Device” (2014) vanta quasi un milione di visualizzazioni. Per quanto la band dal vivo mi abbia fatto un’ottima impressione, l’ascolto del debut destava diverse perplessità: a parte qualche ingenuità nel songwriting tipica delle band esordienti, una produzione decisamente low-budget costituiva un importante ostacolo all’ascolto, nonostante la buona fattura del video di lancio. Mi appropinquo così a questo “The Frozen Throne” (2018) senza particolari aspettative, aspettandomi qualche passo avanti dei lucchesi in termini di produzione, stavolta affidati a Lars Rettkowitz, chitarrista degli happy metaller teutonici Freedom Call.
Di passi avanti ce ne sono stati. Eccome. L’artwork veramente notevole ci mostra il prode guerriero Arthas assiso sul suo trono gelido, nel tempo della corruzione che lo trasformerà nel Lich King dell’universo di Warcraft, il cui destino è narrato nella titletrack di apertura “Frozen Throne”. Possiamo qui aprire una parentesi sul songwriting: il nome Kalidia nasce dalla crasi tra la dea Kalì e l’antica regione della Lidia, per una band nata per cantare di storia e mito. Il mondo videoludico fa parte di quel background di lore e mitologie nerd tipiche delle nuove generazioni dal quale attingere a piene mani, e l’idea di narrare la storia dell’antieroe Blizzard è veramente interessante. Anche il brano è di ottima fattura, e grazie a un ottimo video il limite del milione di visualizzazioni stavolta è stato infranto.
La produzione del disco è pulita e cristallina, ma l’impressione è che oltre al progresso tecnico (il disco esce per Inner Wound Recordings) sia principalmente l’intera band ad essere cresciuta. Prima su tutti l’affascinante frontwoman Nicoletta Rosellini (Walk in Darkness), forte anche dell’esperienza maturata sui palchi con Ouvertures, Vivaldi Metal Project e… Rhapsody, in un duetto con Fabio Lione nel capolavoro “Symphony Of Enchanted Lands” del recente reunion tour. Le linee vocali sono interpretate infatti con maggiore intensità e consapevolezza, supportate dall’ottimo lavoro alle chitarre di Federico Paolini, la mente della band che orchestra dalle retrovie con il suo riffing serrato. Il songwriting è abbastanza dinamico, pur senza discostarsi troppo dagli stilemi e da alcuni cliché tipici del power metal: alla super-melodica “Frozen Throne” segue l’orientaleggiante “Circe’s Spell”, da World of Warcraft all’Odissea. Poi senza soluzione di continuità un altro singolo: “Black Sails” vira sul piratesco a ricordare gli Alestorm, in una scaletta che sembra scandita proprio con l’intenzione di evitare il noioso “effetto monotraccia” che troppo sovente accompagna le band esordienti senza lasciare traccia (pardon) nell’ascoltatore.
In crescendo la successiva “Orpheus” dalla melodia potente e malinconica, poi “To The Darkness I Belong”, altro brano molto incalzante e decisamente riuscito col suo violino in apertura. Nuovo pezzo dall’ispirazione tra storia e mito, indietro fino alla prima guerra giudaica “The Myth of Masada”, in un duetto di Nicoletta con la voce di David Bassin, narra l’assedio da parte dei romani che terminò con un suicido collettivo da parte delle popolazioni assediate. Ballatona romantica “Midnight Chant” tra archi e pianoforte da ascoltare con lo scoppiettio del fuoco in questi mesi ghiacciati.
Di nuovo in accelerazione con Dario Gozzi a spingere dietro le pelli da “Go Beyond” ad “Amethyst” che col suo ritornello arioso sembra volerci convincere che non dobbiamo guardarci indietro perché “tutto andrà bene”… ed è proprio la velocità e l’autoconsapevolezza a scatenare Federico in un bel solo.
Ancora potenza e melodia con “Lotus” e “Queen of the Forsaken” che chiudono un ascolto davvero niente male.
Evidenziato l’enorme balzo dei Kalidia con l’ottimo “The Frozen Throne”, resta ancora da oltrepassare l’abisso di uno stile ancora fin troppo derivativo e debitore delle lezioni di band che hanno già detto molto, se non tutto, nel mondo del power metal melodico. Il suggerimento è quello di fare un po’ con la musica quello che è stato fatto con le liriche della titletrack, insomma: osare un po’ dove nessuno ha mai osato. I ragazzi del resto sono ancora molto giovani e sembrano avere ancora molte storie da narrare. Noi siamo qui, ammaliati, con il libro ancora aperto (ma anche un film o un videogioco, eh!), in attesa della prossima, epica storia dei Kalidia – e intanto, perché no, ci facciamo un altro giro nel regno di ghiaccio e paura. It has just begun…
Luca “Montsteen” Montini