Recensione: The game

Di Luis - 6 Novembre 2003 - 0:00
The game
Band: Queen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1980
Nazione:
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69

Il primo album degli anni 80 della “Regina” britannica è caratterizzato da un certo minimalismo rispetto ai precedenti e c’è la ricerca di un sound compatto ed immediato grazie al nuovo tecnico del suono, il tedesco Reinhold Mack. Iniziano ad essere molto interessanti già i primi 45 giri usciti nell’anno (prima dell’album stesso): “Crazy little thing called love” e “Save me”. Il primo è un rock’n’roll molto scarno e semplice, registrato in tutta fretta, che stupisce per la sua incredibile compattezza ed essenzialità che ricorda il grande Elvis. “Save me” è invece una irresistibile ballata d’autore molto romantica composta da May, con una bella melodia ben strutturata e suonata con efficacia dal gruppo nel tipico stile Queen. La ricerca di un vigore sonoro, che coglie di sorpresa i fans, è senz’altro la principale caratteristica di “The game”. Il quartetto inizia ad utilizzare il sintetizzatore, anche se limitatamente ad alcuni brani e cerca di evitare qualsiasi suono superfluo. Il brano iniziale del disco, “Play tha game”, è un brano che non rinnega il passato dei Queen, ma anzi aggiunge una certa immediatezza espressiva. il pianoforte, la voce di Mercury ed i cori sono sempre in primo piano, ma iltutto è sostenuto da una sezione ritmica rinvigorita dalla produzione di Mack e da una chitarra più tagliente del solito. Unica nota negativa di questa bella ballad è il suono sintetico che la introduce che per me è inutile e fuori luogo. I brani sembrano quasi suonati dal vivo ed i pochi intrventi di tastiere non ne attaccano l’efficacia. La band, dopo “Fight from the inside”, si cimenta, in maniera riuscita, nel funky proponendolo in ben tre brani diversi dal loro standard abituale. “Dragon Attack” è un funk rock estrmamente compatto con numerose e sorprendenti staffilate elettriche; il testo, carico di doppi sensi, fa riferimento alla vita in studio di registrazione e on the road. “Another one bites the dust” è invece un funky ben più classico, basato su un ipnotico e strepitoso giro di basso di John Deacon: sarà il singolo più venduto nella carriera dei Queen. E’ curioso il fatto che il brano inizialmente fu scartato dagli altri tre componenti della band (il pezzo è dello stesso Deacon) che non lo trovavano convincente: sono stati smentiti dai loro fans e da un incredibile successo negli USA, anche tra le emittenti “nere”. Ad ampio respiro è invece il Funky di “Don’t try suicide” con diverse divagazioni rock, ma ciononostante io questo pezzo non lo amo eccessivamente. Innovativo, ma non eccezionale è il pezzo “Coming soon” di Taylor, un rock difficile da definire; molto più bello e con un soun più pulito è “Sail away sweet sister”, ballata scritta ed interpretata dal sempre ben presente Brian May. Di quest’ultimo i Guns’n’Roses ne hanno fatto una bella cover. Gradevole l’intervento compositivo di Deacon con un pop rock classico come “Need your loving tonight” che cita i Beatles anche per i suoi bei cori ed inserimenti strumentali. Infine c’è la carina “Rock it” un hard rock altamente energetico ben intrpretato dal solito Roger Taylor.
Tutto l’album è molto buono, anche se non propriamente rock, non raggiunge minimamente la bellezza dei lavori degli anni ’70, ma è sostanzialmente apprezzabile per il coraggioso tentativo dei Queen di mettersi ancora in discussione dopo quasi 10 anni di carriera.

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