Recensione: The Garden
Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Correva l’anno domini 2005 quando il sottoscritto si perdeva l’esordio di un oscuro sei pezzi australiano, sepolto dalla solita tonnellata di uscite prog provenienti dai quattro angoli del globo. È dunque grandissima e lietissima la sorpresa che ne ha accolto il seguito, duplice CD dalla provvida mano di mamma InsideOut gentilmente inserito sugli scaffali dei negozi alla voce ‘Unitopia – The Garden’.
Un po’ di storia: gli Unitopia nascono nel 1996 nella lontana terra dei canguri, dal fortunato incontro delle menti creative di Mark Trueack e Sean Timms. Una vivace e laboriosa collaborazione conduce nove anni più tardi a quel ‘More Than A Dream’ che al sottoscritto resta ora la curiosità di scoprire. Realizzato quel primo sogno, l’avventura va avanti. I due australiani sostituiscono i primi session man con una vera e propria band, per poi rimettersi sotto torchio e completare in un ulteriore triennio la loro seconda, più matura e senza dubbio più ambiziosa fatica.
‘The Garden’ è un disco da assaporare con calma. Non solo per la vastità della sua estensione – due dischi belli pieni per oltre cento minuti di musica – ma anche per la varietà dei contenuti.
Il terreno da cui prende vita la proposta della formazione australiana è di base il medesimo su cui poggia la vitale tradizione scandinava. In questo fertile humus sono sparsi i semi della tradizione inglese, accolta in tutta la sua complessità e diversità di stili: quindi non solo King Crimson e Genesis ma anche Caravan, Van Der Graaf Generator, Uriah Heep. Non è tutto qui. Ad allontanare gli Unitopia dalla lunga file delle prog band che si incolonnano sulla difficile strada dei Flower Kings concorrono almeno due ulteriori elementi. In primo luogo, la grande attenzione per la melodia e la piacevolezza d’ascolto, che nemmeno nelle composizioni maggiormente intricate viene mai trascurata. Inoltre, fuori dal ventaglio di stili ripresi dal progressive scolastico (rock, jazz, musica classica…), spicca la presenza insolita della musica etnica, eredità di quella tradizione oceanica quasi mai valorizzata in campo rock e della quali gli Unitopia paiono al contrario ben determinati a farsi portavoce.
Tutti questi elementi emergono in misure differenti nei quindici brani in scaletta che, pur convergendo tutte verso la medesima foce, tendono a muoversi lungo corsi anche radicalmente diversi. Le vie più lunghe e intricate sono anche le più avvincenti. I due centri focali dell’album coincidono infatti con le due suite, ‘The Garden’ e ‘Journey’s Friend’, rispettivamente ventidue e sedici minuti circa. La prima offre subito un chiaro esempio dell’importanza della world music per gli Unitopia, con un’evocativa introduzione di percussioni tribali che d’un tratto si riscopre base ideale per lo scoppiettante jazz/rock importato da tastiere, fiati e basso. Mark Trueack conduce con grande autorevolezza le armonie vocali, forte di un timbro che ricorda non poco Peter Gabriel. Intorno al dodicesimo minuto il brano sembra acquietarsi, addormentato da nuove suggestioni etniche. Il risveglio, lento e graduale, avviene a ritmo di jazz, poi una nuova pausa ethno-folk aprirà la via al gran finale sinfonico.
Siamo già a livelli di composizione non lontani da quelli dei grandi classici, ma ‘Journey’s Friend’ riesce se possibile a fare ancora meglio. L’iniziale suggerimento folk non è raccolto dal riffing hard rock e dal liquido solo di tastiere, che prendono l’ascoltatore a schiaffi per un po’ prima di lasciare campo libero a una strofa ariosa e solare, in piena tradizione svedese. Solo di sax e lento crescendo, poi la sorpresona: ritorna prepotentemente l’energia dell’hard rock made in Deep Purple, mentre un irriconoscibile Trueack si camuffa da Brian Johnson, riecheggiando una sorta di AC/DC in salsa sinfonica. Nuovo rallentamento per voce e pianoforte prima che il reprise del tema iniziale chiuda definitivamente il cerchio.
Questi sono i pezzi da novanta, ma attenzione a non dimenticarsi del resto. La confidenza con i minutaggi elevati rappresenta uno dei punti di forza della band, così i dieci primi di ‘Angeliqua’ si elevano fra gli highlight del disco, grazie a un sapiente cameo di prog, hard rock e world music, con un gustoso tocco spagnoleggiante. Gli Unitopia dimostrano tuttavia di sapersi muovere con disinvoltura anche quando abbassano il tiro, optando per melodie dirette e sonorità tradizionali. Si rimane su livelli elevati tanto nell’accoppiata ‘So Far Away’/’Don’t Give Up Love’, sontuoso omaggio a Tony Banks e ai Genesis, quanto nel singolone ‘Here I Am’, devoto a un rock-pop semplice ma raffinato. La predilezione per sonorità ariose, insieme alla visione smaccatamente positiva e un po’ hippie dei testi, emerge con forza nella parte conclusiva del primo disco. La tripletta ‘Amelia’s Dream’/’Wish I Could Fly’/’Inside The Power’ concentra in poco più di dieci minuti l’ideale ottimistico e sognante di ‘The Garden’, in forme diverse da pezzo a pezzo ma insistendo sempre sulla componente classico-sinfonica.
Pur senza mai commettere palesi passi falsi, il songwriting conosce inevitabili flessioni, raccolte nella sezione centrale del secondo disco. In particolare, ‘When I’m Down’ pare intestardirsi oltremisura su un ritornello radiofonico che alla lunga stanca un po’; mentre l’impostazione ibrida, a metà fra modernità e classicismo, di ‘This Life’ suona un po’ fuori luogo, soprattutto per quanto riguarda lo stranito refrain dai riflessi gothic rock. La band riesce comunque a disimpegnarsi con disinvoltura, ora con un solo di pregio, ora grazie alla finezza degli arrangiamenti.
Senza timore di smentita si può affermare che gli Unitopia rappresentano l’autentica rivelazione del 2008: un gruppo capace di mettere una tecnica di alto livello al servizio di un talento compositivo non comune. Ascoltando ‘The Garden’ si ha l’impressione di trovarsi davanti a un ensamble di veterani, certo non a una misconosciuta formazione semi-esordiente proveniente da uno degli angoli più lontani dalla tradizione prog del pianeta. Tuttavia, rivolgendosi al background e all’esperienza dei singoli, si capisce bene che non abbiamo a che fare con un gruppo di ragazzini sprovveduti, ma con musicisti completi e maturi, pronti a ricevere il giusto riconoscimento a livello internazionale.
In un mercato che, per merito o per abitudine, contro al proliferare incontrollato di band più o meno simili le une alle altre tende a rispondere concentrarndosi sempre più attorno ai soliti nomi, è un grande piacere scoprire realtà di prima classe là dove nessuno avrebbe pensato di cercarle. Un grazie obbligato va per questo all’opera della InsideOut, sempre più garanzia di gusto e qualità nella promozione di nuovo proposte. In un rooster già invidiabile, gli Unitopia sembrano avere tutte le carte in regola per elevarsi al rango dei nomi di punta.
Vietato sottovalutarli.
Riccardo Angelini
Tracklist:
Disc 1:
1. One Day
2. The Garden
3. Angeliqua
4. Here I Am
5. I Wish I Could Fly
6. Inside The Power
Disc 2:
1. Journey’s Friend
2. Give And Take
3. When I’m Down
4. This Life
5. Love Never Ends
6. So Far Away
7. Don’t Give Up Love
8. 321