Recensione: The Gate of the Veiled Beyond

Di Daniele D'Adamo - 26 Settembre 2024 - 17:44
The Gate of the Veiled Beyond
80

C’è qualche Paese in cui, in un modo o nell’altro, il melodic death metal non abbia preso piede, nel corso degli ultimi trent’anni? Difficile a dirsi. Sicuramente, in Germania sì, e anche parecchio. Come dimostra “The Gate of the Veiled Beyond“, seconda fatica in studio dei Typhonian.

Formazione misteriosa, ove i nomi dei musicisti sono sostituiti da nick-name pescati dalla mitologia greca, con particolare riguardo per chi, dato il soprannome leggendario, può individuarsi nel mastermind: Typhon, chitarrista e responsabile delle orchestrazioni. Colui, o colei, cioè, che si occupa in prima persona di plasmare gli elementi principali di un sound, si può già scrivere, di altissimo livello qualitativo sia per la parte tecnica, sia per quella artistica.

I tedeschi, l’insegna la Storia, sono pregni di sentimenti che ribollono, spesso contrastanti, che li costringono o a soffocarli, o a lasciarli e esplodere. Nel disco, essi deflagrano. In tutta la loro magnificenza. Tant’è che discutere di melodic death metal, non si offendano Dark Tranquillity e compagnia cantante, è sicuramente riduttivo.

The Gate of the Veiled Beyond“, e si scopre dopo molti ascolti, è un clamoroso concentrato di emozioni, travolte, spesso, da violente accelerazioni che, quasi, le soffocano. Troppo intense, tuttavia, per essere annichilite. Si arriva addirittura a sfiorare la potenza distruttrice del black metal ma, niente, i Typhonian proseguono senza indugi per la propria strada.

Una strada che si arrampica nel cielo più oscuro, grazie a una padronanza degli strumenti totale, come dimostra il ritmo tremendo di “Cosmic Throne“, preciso solo come da scuola teutonica. L’up-tempo della song sembra scalare le colonne d’Ercole per osservare ciò che gli uomini non possono osservare. Il brano è avvolto da costanti orchestrazioni che ne inspessiscono il contenuto melodico, assai elevato. Queste davvero figlie dell’act di Ulm e non mere scopiazzature di altri. Tant’è che il platter ha uno stile tutto suo, apparentemente banale ma, attenzione, come detto, approfondendo i passaggi, esplosivo nella sua originalità.

Il tono è buio, cupo, a volte quasi fiabesco, che ricorda, come collocazione temporale, gli ultimi decenni del Medioevo (“Crimson Rivers“). Una sensazione a pelle, questa, che nulla a vedere con viking e folk metal. Niente di tutto ciò. “The Gate of the Veiled Beyond” ha un suono potentissimo, massiccio, a tratti monumentale (“Primal Deceptive Light“). Pieno zeppo di musica che non resta, alla fine, uno spazio nemmeno per un semplice accordo.

Da citare esplicitamente “The Gatekeeper” per via del suo incredibile incedere poderoso. Le chitarre cuciono riff muscolosi, basso e batteria propongono un ritmo devastante, scatenato dalla furia cieca dei blast-beats; salvo rallentare incredibilmente in occasioni di break totalmente melodici che superano ogni sorpresa. Anche perché il brutale, assassino growling M.W.Styrum è di quello che non lascia prigionieri.

Così, le canzoni si susseguono con una sezione di spinta vigorosa, che spesso e volentieri rallenta per mostrare il talentuoso lato melodico. Quello che si stampa in testa per rimanervi a lungo, insomma. Tant’è che alla fine del viaggio arriva una suite il cui valore artistico è praticamente illimitato.

Cath’un – Gate of the Veiled Beyond“, per diciannove minuti di musica. Quasi un LP nell’LP. Qui i Typhonian danno sfogo alla loro innata bravura compositiva, realizzando una traccia incredibile, miscuglio di mille e mille particolari, da gustare a poco a poco. La visionarietà, già alta altrove nel platter, aumenta esponenzialmente sì da generare immagini e ombre tenebrose il cui impulso natio è l’innominabile incrocio fra le immaginarie emanazioni mentali di sostanze psicotrope incrociate con le forme eteree delle ineguagliabili allucinazioni del black metal.

Allora, non ci si faccia illudere negativamente da un ascolto distratto di “The Gate of the Veiled Beyond“. Che, se fatto proprio, può dar luogo a quasi un’ora di splendida musica per sognare di respirare altrove.

Daniele “dani66” D’Adamo

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