Recensione: The Girl With The Raven Mask
E’ con estremo piacere che torniamo a parlare degli Avatarium, la nuova band di Leif Edling, storico bassista e mastermind dei leggendari Candlemass. La nuova creatura dell’instancabile musicista svedese può vantare tra le proprie fila Marcus Jidel (ex Royal Hunt ed ex Evergrey) alla chitarra, Lars Sköld (Tiamat) alla batteria e la bravissima Jennie-Ann Smith alla voce. I nostri irruppero nel mercato (che brutto termine, lo so) nel 2013 con l’omonimo disco di debutto, edito dalla prestigiosa Nuclear Blast. Inutile nascondere che, grazie alla qualità del primo full length, gli Avatarium divennero immediatamente un riferimento nella scena doom metal, in particolare in quella nuova ondata caratterizzata da una proposta di settantiana memoria, con voce femminile. Ovviamente stiamo parlando di una band di Leif Edling e così, in Avatarium, la componente classic doom era ben marcata, riuscendo a combinare con grande personalità elementi in grado di riportare alla mente band come Black Sabbath, Blue Öyster Cult, Rainbow e Jethro Tull.
Nel 2014 fu poi la volta dell’EP All I Want, in cui, il quintetto svedese, sembrava aver deciso di percorrere un nuovo sentiero. Sentiero caratterizzato da una voglia di andare ulteriormente a ritroso nel tempo, inserendo nelle proprie corde elementi in grado di rievocare gli storici Coven e un pizzico di psychedelic rock.
Ci lasciammo così, con la domanda su quale potesse essere la futura direzione musicale intrapresa dagli Avatarium. La risposta la troviamo in The Girl With The Raven Mask, nuovo album di Edling e soci. Lunga ma doverosa introduzione per questa nuova fatica del quintetto di Stoccolma. Sì, perché il secondo full length è la normale evoluzione di quanto fin qui messo in mostra dagli Avatarium, riuscendo a combinare alla perfezione quanto espresso con il debutto e con il successivo EP. La componente classic doom, pur essendo presente ed essendo la base di partenza del disco, viene “alleggerita” da quanto messo in mostra in All I Want. E’ come se la band componesse nel presente, guardando al passato. Questa potrebbe esser la corretta definizione di The Girl With The Raven Mask. Già a partire dalla produzione, estremamente curata e potente ma in cui spicca quel flavour che riporta alla mente un passato lontano – forse, poi, non così lontano -. Le influenze le abbiamo già ampiamente descritte qualche riga sopra, a cui, questa volta, si aggiungono i primi Huriah Heep – Pearls And Coffin ne è l’esempio lampante – e quella componente prog tanto cara a molte realtà settantiane. L’album risulta così più vario rispetto al predecessore e la sua struttura sembra tagliata appositamente per la voce di Jennie-Ann Smith, autrice di una prestazione sopra le righe, autentica mattatrice del disco. Basta ascoltare l’energica title track o la successiva The January Sea per comprendere come la bionda singer si senta maggiormente a suo agio in questo lavoro, riuscendo a far fare un vero e proprio salto di qualità alle canzoni. Da segnalare inoltre le tastiere di Carl Westholm che risultano essere un altro punto a favore dell’album. Sia per la scelta dei suoni che per il modo in cui vengono usate, sembrano uscire direttamente dai seventies.
Entrando nel dettaglio, The Girl With The Raven Mask presenta otto tracce, ordinate con maestria, in modo da emozionare l’ascoltatore tenendone viva l’attenzione, risultando quindi meno monolitico ma più ipnotico rispetto al debut album. Non vi sono cali di tensione durante la sua durata. Si parte con l’energica e già citata title track che, con il suo incedere, riporta alla mente i Rainbow. La linea vocale di Jennie-Ann Smith, in particolare nel ritornello, è fortemente debitrice al compianto Ronnie James Dio. Tutto gira alla perfezione. Chitarra e tastiere tracciano melodie coinvolgenti, ben supportate da una sessione ritmica aggressiva. A fare la differenza, però, come già accennato poco sopra, è la bionda singer: energica, espressiva, teatrale. Si prosegue con The January Sea, forse la song maggiormente legata al precedente lavoro. Parti di chiara matrice doom, si legano alla perfezione a sognanti passaggi, tipicamente seventies, offrendo un tappeto ideale per una Smith in stato di grazia che riesce a sfruttare a pieno il proprio spettro vocale. Di Pearls And Coffin e dei suoi riferimenti Uriah Heep abbiamo già parlato e così, dopo appena tre tracce, risulta impossibile non notare la cura maniacale avuta nel songwriting. Le canzoni, pur presentando anime diverse tra loro, hanno il marchio Avatarium ben impresso, facilmente riconoscibile, caratteristica sinonimo di personalità e qualità. Le atmosfere si fanno più cupe e oscure con Hypnotized e, in particolare, con Ghostlight – a detta di chi scrive uno dei pezzi più efficaci del disco – in cui va sottolineata nuovamente la splendida prestazione della brava Smith. Le melodie dei Blue Öyster Cult risultano importantissime nello sviluppo di Run Killer Run, traccia semplice nella sua struttura ma, di diritto, da annoverare tra gli highlight di questo secondo platter. Platter che si chiude con Iron Mule e The Master Thief, canzoni caratterizzate da atmosfere più ragionate e riflessive in cui la componente prog e qualche elemento psychedelic rock ben si integrano alla base doom che caratterizza il sound degli Avatarium.
The Girl With The Raven Mask ci regala quindi una band in ottima forma, una band che non cade nel tranello di ripetere quanto di buono messo in luce con il debutto ma punta invece a sviluppare la propria proposta. Una band che non rimane vittima di sé stessa. Certo, l’evoluzione messa in atto strizza l’occhio al passato, ma lo fa con classe e personalità, senza cadere nello scontato come capitato a molte realtà che vanno a comporre quel revival occult rock che impera negli ultimi anni. Secondo full length per gli Avatarium, secondo colpo sparato e secondo bersaglio centrato. In poche parole, da avere.
Marco Donè