Recensione: The Glorious Burden
Finalmente brilla tra le mie mani il nuovo attesissimo platter degli americani Iced Earth forti di una “esplosione di successo” in questi ultimi anni e fautori di un power-thrash metal accattivante e a detta di chi scrive devastante in sede live.
Dopo le vicende legate alla fuoriuscita del bravo singer Matt Barlow i “nuovi” Iced Earth si presentano con i virtuosismi di Ralph Satolla alle chitarre e con una vera e propria icona metal alla voce: Tim “Ripper” Owens.
Cominciamo a fugare il primo dubbio che si è stanziato nella mia mente al momento dell’annuncio ufficiale che ha decretato l’ex singer dei Judas Priest membro degli Iced: Owens offre una prova emozionante, alternando grinta, passione, rabbia e malinconia al momento opportuno in ogni singolo pezzo che compone il prodotto finale.
Devo ammettere che ci sono voluti diversi ascolti per giudicare ed avere una visione completa del lavoro di Schaffer & Company; l’impatto iniziale non è stato del tutto positivo per via del fatto che il platter è molto diverso dai precedenti lavori: sinfonico come non mai senza dimenticare la tipica tessitura thrash che opera da marchio di fabbrica.
Nel corso della recensione vi accorgerete che non mancano momenti negativi ed il lavoro non è propriamente esente da difetti a partire dai testi del booklet scritti interamente dal leader storico Jon Schaffer che denotano ahimè un “patriottismo” decisamente esagerato e spesso fuori luogo che molti di voi reputeranno di secondo piano ma che, probabilmente, senza i fatti dell’11 settembre 2001, non avremmo nemmeno mai letto…
“The star-spangled banner” (inno nazionale americano) ha il compito di introdurre The Glorius Burden nella versione “rocciosa” del primo cd ma anche di introdurlo in versione soft nei 30 minuti nei quali si dipana lo splendido “Gettysburg 1863” del quale parleremo in seguito.
Intro seguita a ruota con uno splendido attacco del primo vero pezzo del disco: “Declaration Day”.
Comincia qui la cavalcata patriottica della quale almeno la metà dell’album gronda e non è difficile intuire l’argomento trattato: la dichiarazione di indipendenza americana. Tra riff azzeccati ed orchestrazioni altisonanti, Schaffer si lancia in un elogio sperticato dei patrioti americani dimenticandosi di menzionare eventi tutt’altro che marginali, quali il fatto che gi americani si ribellarono soprattutto per pagare meno tasse o che la guerra fu vinta dai francesi, mentre gli americani subirono costantemente umilianti sconfitte dagli inglesi.
Musicalmente il pezzo è trascinante e non mancherete di intonare il ritornello al secondo ascolto.
“When the eagle cries” è la prima vera nota dolente dell’album in quanto denota una certa lentezza ed è resa insipida a causa della ripetizione infinita del noioso chorus. L’argomento? Il famoso 11 settembre che viene utilizzato vilmente come giustificazione dell’imperialismo americano e degli interventi militari della potenza a stelle e strisce. Come può Schaffer chiamare “lotta per la libertà” il tipo di guerra condotta dal proprio popolo se poi, fuori dal proprio suolo combattono facendo ricorso a supertecnologie da loro stessi chiamate illegali quando in mano a qualcun altro? Soprattutto, come fa un uomo che ha scritto un pezzo come “Consequences” (Something wicked this way comes) che attacca durissimamente l’ideologia americana, a cambiare a tal punto?
“The Reckoning” (singolo dell’album) propone un testo non molto originale raccontando di una vendetta violenta senza fornire indizi sulla possibile fonte di ispirazione. L’artwork presenta un cow-boy che spara: traducendo “the reckoning” come “la resa dei conti” si può avanzare l’ipotesi che la canzone sia ispirata dalla celeberrima “Sfida all’Ok Corral” dove i violenti fratelli “Earp” sterminarono una banda di malviventi facendo passare l’azione come un legale arresto come nei più classici dei Western. Il pezzo, a dire il vero, non mi convince appieno dal lato delle linee vocali (ed è l’unico in questo caso) in quanto Owens è spinto a tenere spesso tonalità elevatissime che portano la voce a “stridere” troppo risultando a volte fastidiosa.
Finalmente siamo giunti ad un trittico che definirei deflagrante: “Greenface”, “Attila” e “Red Baron / Blue Max”.
La caldissima voce dell’ex Priest infiamma il chorus del primo pezzo caricandoci e urlando la parola “Greenface”, violentemente accompagnato da un coro evocativo e supportato da assoli al fulmicotone dell’ottimo Santolla. La track è un elogio palese al corpo dell’esercito degli U.S.A. noto come Navy S.e.a.l.s., composto perlopiù da abili killer e guerriglieri. Divertente notare come le azioni di terrorismo compiute notoriamente dai S.e.a.l.s., lo stesso terrorismo che il governo americano sostiene di odiare, siano elogiate con la frase “I terrorize evil that’s out of control” (io terrorizzo il male che è fuori controllo).
“Attila” è indubitabilmente il mio favorito del lotto, introdotto da un epicissimo coro poi spazzato via da un refrain di chitarra sbalorditivo per intensità e bay-area oriented.
Il testo è basato sul celeberrimo condottiero che portò devastazione all’impero Romano durante la prima metà del 5° secolo dopo Cristo; arrestato dal generale romano Ezio e da una confederazione di popoli germanici alla battaglia dei campi catalunici in Francia (nulla a che vedere con la Catalunia spagnola).
“Red Baron / Blue Max” è probabilmente ancora più thrash oriented di quanto non lo fosse il precedente “Attila” e tra assoli funambolici di chitarra e batteria a mo’ di mitragliatrice ci ritroviamo immersi nella prima guerra mondiale e di fronte alle mirabolanti imprese dei 2 più celebri aviatori del conflitto: il prussiano “barone rosso” e l’inglese “blue max” (che in realtà viene citato soltanto nel ritornello).
Il dolce suono di una chitarra acustica stempera i nostri animi scaldati dai precedenti motivi e scandisce il ritmo della ballad “Hollow man”, song intimista che narra di un uomo alla ricerca di se stesso. Il testo è molto simile a quanto scritto da Schaffer in “Path of glory” nei Demons & Wizards, ma molto più tetro.
Ripper Owens ci intima a chiudere gli occhi e ad immaginare i soldati in “Valley Forge” e torniamo a ritmi meno blandi.
Mid tempo trascinante supportato da un ottimo riff di chitarra suonato da Schaffer anche se, compositivamente non è certo complesso come altri brani già descritti. “Valley forge” ha dalla sua un testo molto meno filoamericano dove si elogia il soldato americano medio della guerra di indipendenza con una giusta critica da parte di Schaffer: se quel soldato potesse vedere cosa sono diventati gli americani cosa penserebbe? Sarebbe arrabbiato o addirittura disgustato?
Siamo dunque arrivati al termine di “The Glorious burden” e prima della versione unplugged (versione appena alleggerita) di “When the eagle cries” fermiamoci un attimo ad ascoltare un’assoluta hit di questo peraltro ottimo album: “Waterloo”.
Non è assolutamente difficile ed errato accostare questo pezzo ai Blind Guardian in quanto ad epicità, melodrammaticità ed intensità operistica siamo di fronte ad un vero e proprio caposaldo del genere.
Le note del brano vengono accompagnate qui come in nessun altro dalla fantastica voce di Tim che ci rende partecipi di una emotività espressa come meglio non si potrebbe: ora mesto, triste ora freddo, ora fremente e infuriato!
Si narra di Napoleone Bonaparte, l’uomo che piegò il mondo al suo volere (un po’ di patriottismo anche di fazione Italiana non fa mai male), dei 100 giorni di gloria vissuti dal corso successivo, del ritorno dal 1° esilio dell’Elba e della battaglia che decretò la sua fine. Scritto in maniera semplice ma efficace.
Estraggo il primo dischetto dal lettore ed inserisco quella che è una graditissima sorpresa: “Gettysburg (1863)”.
Avrei bisogno perlomeno di altri 10.000 caratteri per raccontarvi per filo e per segno tutti gli avvenimenti in quel di Gettysburg e delle migliaia di persone che persero la vita in quelle battaglie sanguinolente ma, almeno per questo, vi lascio alla lettura del booklet per altro scritto molto bene e dove ho notato una certa cura nei particolari e nelle date degli avvenimenti storici che mi fanno pensare ad uno Schaffer che si è documentato come sempre benissimo prima della stesura. Due righe anche per commentare questi sublimi 30 minuti dove si ha quasi la sensazione di guardare da fuori la guerra in quanto tra cannonate, spari da ogni dove, grida di battaglia e musica teatrale veniamo immersi nel contesto storico.
Sottolineo la bellissima “Hold at all costs” ma intendiamoci, né “The devil to pay” né “High water mark” sono da meno (si poteva però evitare ancora una volta l’inno nazionale a parer mio).
Se ce l’avete fatta a leggere fin qui, vi esorto a comprare questo che non è un capolavoro ma certamente un ottimo album, prodotto in modo pregevole e molto molto profondo nelle sue componenti.
Io reinserisco il primo cd e mi re-immergo nella battaglia.
Tracklist:
Disc 1 / The Glorious Burden:
- The star-spangled banner
- Declaration day
- When the eagle cries
- The Reckoning (don’t tread on me)
- Greenface
- Attila
- Red Baron / Blue Max
- Hollow man
- Valley forge
- Waterloo
- When the eagle cries (unplugged bonus track)
Disc 2 (Gettisburg 1863):
- The devil to pay
- Hold at all costs
- Waterloo