Recensione: The Grand Antiquation

Di Giuseppe Casafina - 20 Dicembre 2019 - 13:10
The Grand Antiquation
Band: Meadows End
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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75

Con il 2019 ormai in chiusura, un anno volge al termine.

Introduco con tali parole in quanto i vari impegni, le delusioni e quanto altro possono farci dimenticare pensieri di altro tipo, come ad esempio nel mio caso il voler recensire un disco che a conti fatti è uscito a marzo, vale a dire praticamente ad inizio anno: ma, come si dice sempre in questi casi, meglio tardi che mai. E, se anche dopo una dimenticanza durata un arco di ben tre stagioni pensi ancora a ciò, o non hai davvero nulla di meglio da fare oppure sai dentro di te che ne vale davvero la pena.

Fortunatamente, si tratta del primo caso, anche perché l’introduzione data a tale analisi di sicuro smentisce abbastanza ampiamente la tesi circa cui il sottoscritto non abbia davvero una mazza da fare tutto il giorno.

Non conoscevo i Meadows End, per nulla. Eppure, a suo tempo scoprì a sorpresa che si trattava di una formazione attiva da ormai oltre venti anni: ricordo ancora la prima notizia inserita su di loro, su questo portale, quando sulla casella delle notizie mi comparì l’anticipazione di un album la cui band autrice del tutto pareva, almeno ad una prima impressione, la solita band Horror Metal o qualcosa del genere. Come genere suonato, lessi l’altisonante sigla Symphonic Death Metal, ma sulle prime non mi impressionai affatto. Beh, passarono pochissimi istanti affinché potessi cambiare idea: all’ascolto del primo singolo diffuso infatti, le mie aspettative verso un disco dalle sonorità così agli antipodi (almeno per come il sottoscritto vede il Death Metal in qualsiasi sua salsa, incluse quelle più melodiche) crescettero esponenzialmente ad ogni ascolto ripetuto…quel brano, ‘Non-Dreaming Eye’ divenne il mio personale tormentone di quel periodo.

Inutile dire che, appena ottenuta una copia dell’album, mi ci fiondo all’ascolto come un ragazzino, ma sulle primissime devo ammettere che rimasi parzialmente deluso. La miscela di Melodic Death Metal e sinfonie orchestrali era sì riuscita, ma nulla che mi avesse ad un primissimo ascolto integrale imrpessionato così tanto. Eppure, mesi dopo ripresi in mano quel disco e mi promisi di riascoltarlo, spinto dalle melodie chitarristiche del singolo sopra citato che mi rigiravano in testa provocandomi una momentanea insonnia: e nulla, fu amore ad un secondo ascolto. O forse terzo, ora non ricordo.

Mi scuso se la mia narrazione a modello di diario da adolescente neometallaro possa apparire a qualcuno forse poco professionale o poco adatta al contesto di questo portale (e alla mia età, innanzitutto), ma scrivo a seconda di come mi suggerisce l’istinto, sempre. Capì subito la motivazione della mia iniziale diffidenza: i primi brani di aperura infatti, nel duetto rappresentato da ‘Devilution’ (il quale vede la partecipazione di Tommy ReinXeed dei Sabaton in veste di ospite speciale) e ‘Storm of Perdition’, erano sì di buona fattura, ma ad un primo acchito decisamente meno esaltanti di quanto seguiva subito dopo, come ad esempio il brano-capolavoro ‘Svept i Sorgepläd’, contraddistinto da ritmi rallentati dove melodie malinconiche e sontuose lasciano immaginare un mondo triste e gelido, anche grazie al perfetto connubio tra parti di tastiera e melodie di chitarra. E’ partendo da questo brano che, anche ad un primo ascolto, la formula degli svedesi comincia a prendere un senso compiuto di sicuro appiglio. Segue ‘Night’s Bane’ (immaginate un pò come se i Dimmu Borgir di “Enthrone Darkness Triumphant” venissero dalle Svezia e si fossero già allora dati al Death, soprattutto nel ritornello), dove la furia riappare potendo così apprezzare al meglio una produzione davvero professionale dal sound preciso e pieno, che risalta perfettamente ogni singolo elemento nonostante un sound che complessivamente risulta davvero elaborato, composto com’è da un numero di elementi maggiore rispetto alla media della band dedite al Metal più estremo. Ma, facendo un passo più indietro e parlando dei brani di apertura, anche questi acquistano un senso maggiore dopo un numero più ripetuto di ascolti, con ‘Devilution’ che colpisce con i suoi assoli di pregevole fattura e ‘Storm of Perdition’ che funge da buon apripista per lo stile nettamente più a fuoco che esploderà per bene a partire dal brano che segue sopra citato.

Il singolo che ha anticipato questo disco al Mondo ormai un anno fa, vale a dire ‘Non-Dreaming Eye’, si rivela un singolo perfetto per far conoscere nel migliore dei modi una band sì esperta ma tuttora sconosciuta al grande pubblico, dove le sinfonie orchestrali seguono a ruota i riff di chitarra, senza dimenticare un rallentamento di ampio gusto stilistico. Da notare come, in tutte le fasi dei singoli brani, la prestazione del vocalist Johan Brandberg sia sempre sopra la media, sia per timbro che per interpretazione, risultando dotato di una espressività dinamica non comune a chi fa dei vocalizzi estremi la propria principale se non unica forma di espressione. Le atmosfere quasi arabiche di ‘Her Last Sigh Goodbye’ ci donano un brano che da certi punti di vista è forse il più ‘Power Metal’ del lotto (soprattutto per via dei riff delle strofe, che ricordano certe cose dei Kamelot), ma anche quello dove il vocalist vira maggiormente sulle timbriche risultando ancora più convincente. A ciò, segue un altro brano-capolavoro quale ‘The Insignificance of Man’, dal mood decisamente profondo e dai sapienti cambi di tempo, introdotto da un cantato femminile di grande impatto ed accompagnato da melodie di chitarra preziose come diamanti perfettamente incastonati su un gioiello d’indubbia bellezza. A terminare, ‘I Stilla Vemod Vandra’ chiude le danze con un altro meraviglioso connubio di atmosfere dove i riff stoppati seguono perfettamente i numerosi inserti orchestrali: un brano conclusivo anche in questo ultimo caso di buon impatto, contraddistinto come sempre da assoli di grande gusto melodico e da una costruzione del pezzo stesso degna di musicisti che ormai hanno raggiunto di livelli di esperienza altissimi.

Va notato però che tutte queste qualità richiedono , come già ampiamente anticipato, di un numero di ascolti più ampio rispetto al classico disco Melodic Death Metal per poter essere apprezzate appieno: i pezzi infatti, sebbene tutti accomunati da uno stile compatto (sintomo di una band che ha ormai trovato il proprio stile), sono forse eccessivamente omogenei tra loro e, così facendo, si nota nettamente il distacco dal pezzo più a fuoco e quello leggermente sottotono, sebbene stiamo sempre e comunque su livelli che vanno dal buono all’eccezionale.

Non dilungandomi ulteriormente ed essendo stato già assolutamente prolisso (chissà se sarete riusciti ad arrivare alla fine), vi consiglio quindi caldamente di dare una chance a questo disco: se non l’avete fatto nel corso dell’anno ancora in corso, spero possiate farlo nell’anno che sta per venire…qui i ragazzi, nonostante non abbiano di certo con questo disco sconvolto il mondo del Metal estremo più melodico, hanno inciso un’opera a suo modo complessa che merita un sincero approfondimento. Fossero stati i Dark Tranquillity ad aver inciso un qualcosa del genere (nonostante l’ovvia e totale differenza di stili), ora grideremo al miracolo. Ecco perché sono totalmente innamorato di questo disco e credo che, soprattutto ripetendo tale concetto dopo mesi e mesi di ascolto, meriti tantissimo.

Io ho fatto il mio dovere anche troppo approfonditamente, ora sta a voi decidere se seguire o meno il mio consiglio.

In ogni caso, “The Grand Antiquation” è sempre qui che vi aspetta.

Voi dovete solo dargli il tempo che merita.

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