Recensione: The Grand Design

Di Lorenzo Bacega - 30 Luglio 2010 - 0:00
The Grand Design
Band: Day Six
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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75

Arrivano finalmente al tanto agognato debutto ufficiale gli olandesi Day Six, quartetto proveniente dai dintorni di Someren (Brabante Settentrionale), formatosi nell’ottobre del 2002 dalle ceneri dei prog metallers Penauts. Successivamente alla pubblicazione, nel corso dello stesso anno, del primo demo del gruppo, intitolato The World Beyond Earth, i quattro musicisti iniziano a comporre i brani che vanno a costituire un primo full length completamente autoprodotto, dal titolo Eternal Dignity, rilasciato nel 2003 e distribuito solamente a livello locale. Ben sette anni in seguito a quest’ultima uscita, vede ora la luce il vero e proprio disco di debutto dei Day Six, intitolato The Grand Design, pubblicato nel mese di giugno del 2010 dalla finnica Lion Music.

Descritti dalla propria etichetta – forse in maniera un po’ troppo frettolosa e pretenziosa – come una via di mezzo tra Pink Floyd, Rush, Dream Theater, Opeth e Porcupine Tree, questi Day Six ci propongono in questa occasione un progressive metal piuttosto ostico e di difficile assimilazione, per un disco forse ancora leggermente acerbo a livello di songwriting, ma tuttavia già capace di coniugare con estrema naturalezza i virtuosismi tipici del genere in questione (mai esasperati o eccessivamente fini a sé stessi) con melodie liquide ed eteree di stampo prettamente psichedelico. Sugli scudi troviamo soprattutto il cantante e chitarrista Robbie van Stiphout, frontman dotato di una voce particolarmente teatrale, in grado di esprimersi al meglio specialmente quando le composizioni richiedono un’interpretazione meno energica e più espressiva. Al suo fianco troviamo una sezione ritmica di tutto rispetto, costituita nell’ordine da Nick Verstappen al basso e Daan Liebregts alla batteria, che si fa notare per una prestazione solida e senza particolari sbavature, mentre a chiudere la line-up figura il tastierista Dolf van Heugten, autore di una prova ottimale sotto ogni punto di vista.

Composto da nove tracce (per un minutaggio complessivo che si aggira intorno ai settantadue primi di durata), questo The Grand Design ci offre una manciata di pezzi estremamente articolati, molto fluidi e complessi a livello di strutture, e per questo motivo assimilabili nella loro interezza solamente dopo un numero piuttosto elevato di ascolti approfonditi. Il concept che viene affrontato in questo disco (l’intera storia è presente in maniera più dettagliata direttamente sul sito della band) racconta del ritrovamento di un’astronave aliena atterrata nei pressi del lago Vostok (in Antartide) da parte di cinque scienziati meteorologi. Una volta scoperta la verità che si cela dietro a queste forme di vita extraterrestri, questi scienziati vengono fatti rinchiudere dalle autorità governative in un ospedale psichiatrico, così da poter rimuovere tutti i loro ricordi legati a quest’esperienza, e allo stesso tempo impedire loro di informare il mondo intero circa l’esistenza degli alieni. Nonostante questa sia in fin dei conti la prima release ufficiale da parte dei Day Six, non si può fare a meno di sottolineare come la band in questa occasione affronti le composizioni con una grande dose di personalità, riuscendo a dare origine a un sound forse non completamente originale, ma in ogni caso piuttosto peculiare e distintivo. L’unica nota parzialmente negativa di questo lavoro risiede in una certa macchinosità di fondo che si viene a creare nei pezzi più complessi e dal minutaggio più dilatato, finendo così per comprometterne in maniera leggera la scorrevolezza. Si pensi a questo proposito alla lunga suite Inside, brano della lunghezza di sedici minuti che, malgrado la presenza di alcuni spunti sicuramente interessanti, si rivela nel complesso un po’ troppo sconnessa e traballante. Non mancano in ogni caso gli episodi positivi all’interno di questo The Grand Design: basti citare ad esempio l’opener Massive Glacial Wall, pezzo piuttosto compatto e tirato, caratterizzato da un riffing particolarmente roccioso e da melodie assolutamente azzeccate. Degna di menzione anche A Soul’s Documentary, traccia piuttosto lenta e malinconica che ha dalla sua delle atmosfere decisamente eteree e sognanti, mentre con 7th Sign ci troviamo al cospetto di un pezzo piuttosto canonico nel suo incedere, abbastanza diretto e assimilabile fin dai primi ascolti.

In definitiva, questo The Grand Design si rivela essere un disco sicuramente riuscito, dotato di alcuni spunti decisamente interessanti, ma in certi tratti ancora leggermente immaturo per quanto riguarda il songwriting. Un lavoro che nel complesso risulta piuttosto ostico da metabolizzare, da un lato a causa di un sound eccessivamente omogeneo (a un ascolto superficiale tutte le canzoni sembrano infatti assomigliarsi un po’ troppo le une alle altre), dall’altro per via di alcune imperfezioni che, come analizzato in precedenza, finiscono per rendere poco scorrevoli le tracce più lunghe e articolate. Certo, considerato che ci troviamo al cospetto della prima uscita ufficiale dei Day Six non si può che essere comunque soddisfatti del risultato raggiunto in questa occasione, ma in ogni modo starà al quartetto olandese lavorare duro in studio per riuscire a colmare queste lacune che, ogni tanto, fanno ancora capolino all’interno delle composizioni. Attendiamo fiduciosi.

Lorenzo “KaiHansen85” Bacega

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Tracklist:
01. Massive Glacial Wall
02. Lost Identity
03. Castel Gandolfo
04. Inside
05. Fergus Falls
06. A Soul´s Documentary
07. Age of Technology
08. 7th Sign
09. In the End…

Line Up:
Robbie van Stiphout – Guitars, Vocals
Daan Liebregts – Drums
Nick Verstappen – Bass
Dolf van Heugten – Synths

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