Recensione: The Grave Of Civilization
I Void Of Silence sono, fin dai loro esordi, uno dei nomi più prestigiosi del panorama doom metal italiano: la loro fama, tuttavia, si estende ben al di fuori dell’italica penisola, e non di rado il combo romano è citato fra i gruppi più sperimentali e complessi del suo genere. Con un background artistico talmente brillante, nel 2004 la notizia del loro scioglimento suonò come un fulmine a ciel sereno, specialmente poichè di poco successiva alla pubblicazione di un capolavoro come Human Antithesis. Fortunatamente, Ivan Zara (chitarra, basso) e Riccardo Conforti (batteria, tastiere) hanno deciso che era tempo di rimettere in gioco ancora una volta il monicker Void Of Silence per tornare a calcare le cupe scene del doom, ed ecco dunque il loro ultimo lavoro, The Grave Of Civilization; stavolta, dopo Malfeitor Fabban (Aborym, Malfeitor) e Alan Nemtheanga (Primordial), a rivestire il ruolo di cantante c’è Brooke Johnson, famoso principalmente come voce e chitarra degli Axis Of Perdition.
A sei anni dal precedente disco ritroviamo i Void Of Silence differenti eppur familiari: se da un lato è evidente la volontà di non ripetere pedissequamente formule già adoperate, dall’altra è impossibile non riconoscere chiaramente il tipico stile del gruppo. Abbiamo sempre a che fare con del pesantissimo doom metal dai tempi decisamente dilatati, dall’atmosfera apocalittica e solenne, capace di dosare impeccabilmente melodia e potenza, e di alternare con attenzione passaggi più opprimenti e intermezzi più tranquilli e minimali. Il sound si giova di una stratificazione molto curata: il lavoro chitarristico è estremamente ispirato (specialmente nel suo comparto solista), e può contare su di un riffing vario e ipnotico; a fare da contraltare alle chitarre troviamo un evocativo tappeto di tastiere, capaci di sottolineare in modo sempre efficace la variazioni d’atmosfera, e di ritagliarsi i giusti spazi senza mai essere invadenti. Il risultato è un suono pieno, arioso pur nella sua cupezza, ricco di dettagli e di sorprese. A monte di tale stratificazione c’è poi la voce, che col suo tono epico e teatrale funge da ottimo coronamento delle maestose atmosfere richiamate dalla musica. La struttura delle canzoni è molto articolata, all’interno di una stessa traccia sono molti i cambi di registro e di tempo a cui assistiamo (sempre entro i confini del doom, s’intende), ma ogni sezione è sapientemente connessa alle altre così che non si abbia mai l’impressione di star ascoltando pezzi disgiunti; di certo The Grave Of Civilization è un disco di non facile fruizione, che richiede numerosi ascolti per essere assimilato, ma si tratta di un’esplorazione intrigante, ammaliante, che non potrà non catturare l’ascoltatore dotato della giusta predisposizione per assaporarne la ricchezza compositiva.
Come da tradizione, la durata delle canzoni di The Grave Of Civilization è molto estesa: ad eccezione dell’intro di tre minuti, e dell’ultima traccia di quattro, il corpo dell’album è costituito da pezzi che oscillano fra i dieci e i diciassette minuti. La bravura dei Void Of Silence nel plasmare il loro songwriting è ben nota, e anche nel caso di The Grave Of Civilization lo spettro della prolissità è fugato, sebbene un paio di tracce probabilmente sarebbero risultate più snelle e fluide se fossero state un po’ più compatte. Un piccolo appunto bisogna farlo anche alla voce, non tanto per quel che riguarda la qualità della prestazione (invero espressiva e coinvolgente), quanto piuttosto per la varietà: l’unico stile offerto è il cantato pulito, laddove durante certe sezioni, invece, sarebbe stato appropriato un po’ di maggiore estremismo vocale. La presenza di sola voce pulita è chiaramente frutto di scelte precise e ponderate, che però non mi sento di premiare completamente.
A parere di chi scrive, l’eccellenza, la poliedricità e la portata innovativa dei primi due album dei Void Of Silence, Toward The Dusk e Criteria Ov 666, restano insuperate; Human Antithesis aveva parzialmente reinventato lo stile del gruppo portandolo su lidi di maggiore epicità e sperimentazione, con ottimi risultati; The Grave Of Civilization prosegue sulla strada aperta da Human Antithesis, non riuscendo però a raggiungere le stesse vette, e mancando di una visione d’insieme altrettanto geniale e ispirata. Queste considerazioni, tuttavia, nulla tolgono al valore dell’album in sè: siamo di fronte ad un’opera di grande qualità e dalla personalità estremamente spiccata, che segna il ritorno di uno dei migliori gruppi che il doom metal abbia mai avuto, e ne conferma l’eccezionale spessore artistico.
Giuseppe Abazia
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Tracklist
01 – Prelude to the Death of Hope (03:00)
02 – The Grave of Civilisation (17:30)
03 – Apt Epitaph (12:26)
04 – Temple of Stagnation (D.F.M.I. MMX) (09:49)
05 – None Shall Mourn (15:19)
06 – Empty Echo (04:13)