Recensione: The Great Bazaar
Gran bel disco questo secondo parto dei Subterranean Masquerade: è quel prog easy listening che non fa mai male, infarcito di growl e un approccio etnico in grado di fare un figurone. Possiamo chiamarlo oriental-prog? Si può fare senza danneggiare niente e nessuno. Se vi è piaciuto All Is One deigli Orphaned Land, se vi piacciono i Myrath, gli Arkan e compagnia (arabeggiante) bella, qui siete a casa!
The Great Bazaar è un disco zeppo di sfaccettature, colori e contorni; rimanda appunto ai grandi mercati mediorientali e ha la capacità di catapultare l’ascoltatore dentro la scena in maniera credibile e mai banale. Il disco, a dire la verità, è un concept che narra di un uomo che lascia la propria casa per cercare cosa veramente è importante nella vita; oltre è meglio non andare per non spoilerare gratuitamente. Completano la line up Kjetil Nordhus (Green Carnation, Tristania), Shai Yallin alla tastiera e Golan Farhi al basso; la stessa band parla di una prima volta dei Subterranean Masquerade come band vera e propria, e non un semplice progetto da studio.
“Early Morning Mantra” mette subito in chiaro le cose e la direzione del disco: è una composizione apparentemente semplice e altamente orecchiabile. Di facile presa le linee vocali, buon uso delle percussioni e gli inserti in growl sono un bijou. Da urlo il bridge con cambio totale d’atmosfera e che fa capire il notevole tasso tecnico della band, sempre e comunque al servizio del pezzo e mai fine a se stesso. “Reliving The Feeling” ha un piglio allegro e scanzonato e ricorda tantissimo il prog rock melodico di matrice americana; la mente richiama immediatamente gente come Spock’s Beard, Enchant e via dicendo. Fa capolino ogni tanto il growl e il tutto risulta comunque un pezzo validissimo.
Il tema principale di “Tour Diary” è magnifico e starebbe davvero bene a livello cinematografico; la band se ne rende conto e lo ripete appena può. L’unico difetto del brano è la linea vocale che è, sì, buona ma non al livello della “base” (mica è rap, ma va be, avete capito). “Nigen” è una notevole prova strumentale che offre grande prog di matrice settantiana con tanto di flauto e altre amenità; è un pezzo tecnicamente impeccabile e inattaccabile, che fa sognare l’ascoltatore e lo trasporta in un mondo pacifico e onirico, pur non inventando niente. “Blanket Of Longing” torna al cantato in maniera raffinata e altamente orecchiabile, almeno prima del growl che comunque ha qualcosa di romantico e dà una marcia in più alla composizione.
È però, la seguente “Specter” a essere l’highlight dell’album, col suo incedere sinistro e arabeggiante e una linea vocale davvero riuscita e ispirata. Buonissimi il bridge e il finale. “Father And Son” è tecnicamente l’ultimo pezzo in tracklist e anche il più lungo (si assesta oltre i nove minuti); non aggiunge né toglie nulla a ciò che è stato proposto finora, anzi, rincara la dose rivelandosi uno dei momenti migliori del disco. Peccato solo per il finale davvero troppo brusco che ha la parvenza di essere tagliato malamente.
L’edizione speciale di The Great Bazaar in digibook offre ben due bonus track: “Home” e “Beyond The Pale”, entrambe tratte dall’EP Home del 2013. La prima non avrebbe di certo sfigurato nella tracklist ufficiale, mentre la seconda è una cover dei The Mission, il cui giudizio lasciamo nelle mani del singolo ascoltatore.
Tempo, quindi, di trarre le conclusioni. Che dire? The Great Bazaar è un buonissimo disco e su questo non ci piove; difficilmente deluderà gli amanti di queste sonorità e ancora più difficilmente arriverà ad annoiare l’ascoltatore anche dopo molti ascolti. È un’opera fresca, con canzoni di buona qualità e non ha di certo la pretesa di stravolgere il mondo; questo, però, è anche il suo difetto, il limitarsi alle influenze senza metterci quel tratto distintivo che solo i grandi posseggono. Le capacità e gli intenti ci sono tutti, siamo certi che col fatidico terzo album i Subterranean Masquerade faranno il botto.
L’udienza è tolta!