Recensione: The Great Bludgeoning
Gli Hatesphere fanno parte di quella schiera di gruppi apparentemente tutti uguali fra loro nell’interpretazione del metal moderno. Eppure, un’indefinibile aurea dorata li avvolge a nobilitare un’esistenza, invece, ricca di personalità e di ‘quel certo non so che’ in più rispetto agli altri, invisibile a un primo sguardo distratto.
S’è scritto ‘metal moderno’ poiché sembra davvero riduttivo appioppare una sterile definizione da inventario allo stile che i Nostri mostrano in “The Great Bludgeoning”, settimo full-length di una carriera lunga dieci anni, almeno con il moniker attuale. La band, esistente sin dal 1993, ha in realtà esplorato in primis sonorità più spostate verso il death e le sue appendici *-core, per giungere, ora, a una ‘thrasherizzazione’ sì spinta da farla tuffare, almeno formalmente, nell’immenso calderone del thrash metal, per l’appunto. Thrash metal contaminato qua e là dal metalcore, ma ben saldo nei suoi stilemi, soprattutto, per quanto riguarda il guitarwork; davvero inconfondibile nella sua vicinanza a quello dei mostri sacri del genere. Peter Hansen e Jakob Nyholm danno sfoggio di un’abilità cristallina nel cucire i terribili accordi iper-compressi dal palm muting, mattoni di un poderoso muro di suono.
È grazie alle linee vocali del nuovo cantante Esben Hansen (ex-As We Die), però, che il quintetto danese – quasi paradossalmente – compie il salto decisivo nella terra dei Testament. Hansen, infatti, pur essendo di scuola death, con le sue rabbiose harsh vocals dà un tocco di aggressività e potenza tale da trascinare irresistibilmente, con linearità, sia le rhythm guitars, sia i pattern di Mike Nielsen – pure lui, come il bassista Jimmy Nedergaard, neoacquisto della coppia Pepe/Nyholm. Anche Nedergaard, assieme agli altri, mostra un’innata predisposizione per un approccio classico alla questione; approccio che fa del tono stentoreo di Esse la guida per una specie di salto nel tempo, precisamente verso la metà degli anni ’80, quando cioè il thrash era in piena deflagrazione. Attenzione, però: il sound di “The Great Bludgeoning” è moderno come pochi altri nel suo tipo. A essere… vintage è, difatti, ‘solo’ l’attitudine.
Moderno, anche, il songwriting, che l’ensemble di Aarhus sviluppa in modo lineare, senza fronzoli e appesantimenti; favorendo sia l’aspetto legato alla scioltezza ritmica, sia quello deputato alla profondità emotiva. Se hardcore, metalcore e deathcore possono sembrare un po’ freddi, a volte, questo non accade mai, se ci si riferisce ai brani di “The Great Bludgeoning”. In fase compositiva, senz’altro, Peter Hansen e soci non hanno badato solo e soltanto al ‘picchia duro e basta’. Al contrario, l’uso moderato della melodia e la scelta di mantenere essenziale la scrittura hanno portato i pezzi a essere facilmente fruibili e, in generale, assai godibili.
Ne è un esempio evidente l’opener (“The Killer”), con il suo incedere scoppiettante, mai sopra le righe, e il suo buon refrain. “Venom”, semi-suite, è a parere di chi scrive il miglior elemento del lotto: fantastica la progressione ritmica, da staccare le vertebre cervicali, con l’epico break finale a suggellare una canzone riuscita sotto tutti i punti di vista (compreso l’incipit acustico). Non meno dinamica, invero rapida e rabbiosa, “Smell Of Death” si avvicina molto al concetto di ‘thrash puro’ così come potrebbe intendersi quello suonato dagli Artillery, giusto per rimanere in tema geografico. Anche “Decayer” non scherza, con le dimostrazioni di forza; unendole, tuttavia, con un gusto musicale di classe ‘slayeriana’. La breve strumentale “The Wail Of My Threnode” separa in due il lavoro, lasciando il compito di esplorare gli slow-tempo a “Resurrect With A Vengeance”. Ritmi serrati e sferzate thrash: questa è “The Great Bludgeoning”. L’amore per il metalcore emerge ancora, ed è “Need To Kill” (il cui riff iniziale ricorda addirittura l’hard rock) a provarlo. Quasi a sublimare la sinergia fra metalcore, appunto, e thrash, giunge infine “Devil In Your Own Hell” a chiudere il sipario.
“The Great Bludgeoning” è un’opera tosta e raffinata, una mazzata sulla schiena ma, contemporaneamente, una carezza sulla guancia. Combinare questi due elementi fra loro in maniera così efficace, come hanno fatto gli Hatesphere, non è per nulla semplice. Non per niente la loro carriera non ha mai avuto consistenti cali di tensione e creatività e questo non accade nemmeno adesso. Anzi!
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. The Killer 3:31
2. Venom 6:08
3. Smell Of Death 3:43
4. Decayer 4:54
5. The Wail Of My Threnode 1:16
6. Resurrect With A Vengeance 4:20
7. The Great Bludgeoning 4:34
8. Need To Kill 5:27
9. Devil In Your Own Hell 3:00
All tracks 36 min.
Line-up:
Esben “Esse” Elnegaard Kjaer Hansen – Vocals
Peter “Pepe” Lyse Hansen – Guitars
Jakob Nyholm – Guitars
Jimmy Nedergaard – Bass
Mike Park Nielsen – Drums