Recensione: The Great Escape

Di Massimo Ecchili - 3 Dicembre 2010 - 0:00
The Great Escape
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Anno: 2010
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94

Alla fine ce l’hanno fatta: i cinque ragazzi di Stoccolma, in dieci anni di ambizione, caparbietà e fiducia nei propri mezzi, con un crescendo inarrestabile che va dal debut Become ad oggi, passando per Waiting In The Wings e Mercy Falls, sono arrivati a comporre e suonare quello che, per il loro stile e le le loro caratteristiche, è il disco pressochè perfetto. The Great Escape non è niente più e niente meno che questo; uno di quei dischi che, c’è da scommetterci, durano nel tempo e non finiranno in futuro a prender polvere, come tante, troppe uscite eccessivamente lodate al momento della release. Cinque ragazzi, cinque musicisti dalle doti tecnico-espressive fuori dal comune, con una capacità di integrarsi tra di loro che in realtà si era già palesata nel precedente Mercy Falls del 2008, ma che questa volta sbalordisce sin dal primo ascolto.
Le premesse per aspettarsi qualcosa di ottimo, come ricordato, c’erano già tutte due anni fa, ma The Great Escape va oltre ogni più rosea aspettativa. La cosa che fa più riflettere è che i Seventh Wonder anche questa volta non hanno avuto bisogno di inventarsi nulla per arrivare a questo risultato. Suonano prog metal nell’accezione classica, misto ad una buona dose di prog power. Lo fanno sfruttando tutte le armi che hanno a disposizione: dalla voce incredibile di Tommy Karevik al gusto melodico che non smettono mai di esibire fieramente; dai cori che strizzano l’occhio all’AOR ottantiano ai frenetici viaggi che la mano sinistra di Andreas Blomqvist compie su e giù per la tastiera del suo basso; dagli arrangiamenti pressochè perfetti ad un’abilità per un sonwriting sempre fresco che oggigiorno conosce pochi rivali nel genere. Possono essere ruffiani ed orecchiabili e un secondo dopo investire l’ascoltatore con parti strumentali iper-tecniche, senza che questi quasi nemmeno si accorga del passaggio.

Entrando nel dettaglio di The Great Escape, il preambolo di cui sopra prende corpo nell’opener Wiseman, la quale parte con un affondo prog power stile “assalto frontale”, e basta ascoltarla una volta per sentirci dentro tutti gli elementi che fanno in modo che i Seventh Wonder assomiglino, ormai, a loro stessi più che ad altri come in passato: ci sono i cori, il modo unico che Karevik ha di sfruttare sempre al massimo la sua estensione vocale, il break in cui lo stesso singer si fa accompagnare solo dal piano, l’arrangiamento molto ben concepito ed un mixing capace di esaltare nel contempo ogni singolo strumento ed il suono d’insieme. Ogni particolare è scrupolosamente curato nel minimo dettaglio e non c’è una sola nota che risulti fuori posto. La seguente Alley Cat, primo singolo che ha anticipato di oltre un mese l’uscita di The Great Escape, contribuendo a far crescere l’attesa e le aspettative nei confronti di questa release, è semplicemente irresistibile; un pezzo che non può non risultare una festa per le orecchie di chi lo ascolta. Un chorus ruffiano, come se ne sentono pochi nel genere, viene circondato da soluzioni ritmiche intriganti lungo tutto l’arco del pezzo grazie all’affiatatissima coppia Blomqvist-Sandin (purtroppo è fresca la notizia dello split di quest’ultimo), mentre Liefvendahl riesce a dare brio al tutto grazie ad un riffing preciso e a numerose incursioni solistiche. Ma il vero protagonista è Karevik, incantevole mentre con la sua aria quasi scanzonata va su e giù con la voce nel già citato ritornello, il quale, udite udite, non sfigurerebbe in una qualsiasi canzonetta pop. Alley Cat, con ogni probabilità, dividerà gli ammiratori del combo svedese tra coloro che l’adoreranno per la sua ariosità e quelli che la troveranno troppo orecchiabile ed allegra; a questi ultimi, nel caso, sarà utile ricordare che non sta scritto su nessun manuale del buon prog metaller che il loro genere preferito debba essere per forza serioso, e tantomeno esiste una regola per la quale l’eccesso melodico debba essere considerato un difetto.
Il livello qualitativo certo non scema con la seguente . The Angelmaker, pezzo nel quale si sente più marcatamente l’influenza dei Symphony X, anche questa volta principale punto di riferimento dei nostri; è nel chorus, più che altrove, che esce allo scoperto, senza timore reverenziale alcuno, l’ammirazione dei cinque per il combo americano e l’ispirazione che ne deriva. Ispirazione che continua nella seguente King of Whitewater, brano senza infamia e senza lode qui, in questo disco, ma che in altri avrebbe potuto tranquillamente essere uno dei pezzi di punta, giusto per far comprendere a quale livello compositivo/esecutivo siano arrivati al giorno d’oggi gli svedesi. Basterebbe il violino di Arto Järvelä ad elevarlo sopra la maggior parte degli altri (troppi) brani prog power ai quali siamo (ahimè) ormai abituati. Long Way Home è l’immancabile ballad; immancabile, già, e sicuramente attesa; forse, a dirla tutta, anche un po’ scontata. Eppure anche questa funziona maledettamente bene, grazie all’interpretazione schifosamente perfetta di Karevik (letteralmente da brividi qui), allo splendido duetto finale con la sorella Jenny, alla prova sopra le righe (come del resto in tutto il platter) di Andreas Blomqvist al basso (qui Fretless), o forse perchè è, senza troppo girarci intorno, uno di quei pezzi che in un’immaginifica compilation per i novelli del genere non può starsene fuori. E’ qui che i cinque svedesi vincono: nel prendere le regole vigenti e nell’eccellere seguendole senza mai stravolgerle. Sembra una cosa semplice, detta così, ma pensateci: nessun’altro (almeno in ambito prog metal) è in grado di farlo. Se vi viene in mente un’altra band, sicuramente non lo fa perfettamente come i Seventh Wonder!
L’intro di Move on Through vede ancora una volta protagonista Blomqvist, al quale tutta la band, capitanata dal riffing di Liefvendahl, si aggiunge per farci omaggio di un altro pezzo senza sbavature. Anche in questa occasione affiorano cori di netto stampo AOR ad impreziosire un brano che vive di tecnica, melodia, freschezza, e che in The Great Escape nemmeno riesce a brillare, circondato com’è da pezzi all’insegna del talento e della qualità.
Il finale è quanto alla maggior parte delle altre band impegnate nel genere basterebbe comporre in un’intera carriera: The Great Escape dura più di mezzora e, una volta terminata, sembra impossibile che sia passato tanto tempo. Per la prima volta i nostri si misurano in una traccia dal minutaggio così elevato, e, come il primo della classe che è incapace di non eccellere, lo fanno in modo brillante. Lo spunto arriva da Aniaga, uno scritto fantascientifico del ’56 del premio Nobel Harry Martinson, nel quale una nave spaziale (chiamata appunto Aniaga) porta l’umanità via da una terra disastrata e ormai invivibile. L’incipit (come un intermezzo poco dopo la metà del brano ed il finale) è acustico, con un Karevik piglia tutto a farla da padrone. Il resto scivola via, distribuendo piacere dall’inizio alla fine, tra cavalcate prog power, soluzioni sempre dinamiche del duo ritmico Blomqvist/Sandin, e soli ben distribuiti tra l’accoppiata Liefvendahl/Söderin.

The Great Escape è, poche chiacchiere, il disco prog metal dell’anno, e girerà a lungo nel lettore di chi dalla melodia è attratto; perfetto per far capire, a chi ancora non se n’è fatta una ragione, che il genere in questione non comprende tra le sue caratteristiche imprescindibili quella di innovare ad ogni costo, e va invece trattato alla stregua di qualsiasi altro genere musicale, con precisi canoni e regole seguendo le quali è possibile arrivare, complice un talento del tutto eccezionale, al capolavoro. Certo, non tutti possono contare su di un singer del calibro di Tommy Karevik: timbro, estensione e tecnica assolutamente fuori dal comune, capace di voli pindarici spaventosi con la sua formidabile voce; ma in The Great Escape c’è tanto, tanto altro di più.
I Seventh Wonder sono ormai diventati un punto di riferimento per la corrente alla quale appartengono, amati dagli appassionati e presi come riferimento dalle nuove band. Loro continuano a crescere e a migliorarsi, disco dopo disco, tanto che, giunti a questo punto, non si sa più cosa aspettarsi per il futuro. Esiste qualcosa oltre la perfezione? Meglio non porre limiti alla provvidenza, perchè dopo questo The Great Escape…the sky’s the limit.

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Tracklist:
01. Wiseman 5:44
02.  Alley Cat 6:07
03. . The Angelmaker 8:32
04. King of Whitewater 7:40
05. Long Way Home 4:26
06. Move on Through 5:07
07. The Great Escape 30:22

Line-up:
Andreas Blomqvist: bass
Johan Liefvendahl: guitar
Tommy Karevik: vocals
Andreas Söderin: keyboards
Johnny Sandin: drums

Jenny Karevik and Johan Larsson: additional vocals
Arto Järvelä: violin on King of Whitewater

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